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 2016  marzo 03 Giovedì calendario

Paul Begala, consigliere di Hillary Clinton, sta proponendo per la prossima campagna elettorale democratica - quella finale, per la Casa Bianca - lo slogan: «Be Afraid

Paul Begala, consigliere di Hillary Clinton, sta proponendo per la prossima campagna elettorale democratica - quella finale, per la Casa Bianca - lo slogan: «Be Afraid. Be Very Afraid». Cioè: «Abbi Paura. Abbi Molta Paura». Benché Sanders si stia difendendo bene, non c’è dubbio che Hillary alla fine otterrà la nomination democratica dato che ha un vantaggio abissale nella schiera dei super-delegati. Ed è altamente probabile, a questo punto, che il suo avversario sia proprio Donald Trump, il gorilla bianco, volgare, ignorante e urlatore, che Hillary all’inizio si augurava come avversario, parendole una bazzecola - lei così competente, così introdotta, così giusta - battere un avversario tanto poco elegante. Senonché la profezia si sta avverando e, visto adesso Trump, non sembra più quel boccone tanto facile da ingoiare: be afraid, be very afraid, perché certi sondaggi dicono che se si votasse oggi Hillary vincerebbe 52 a 44, ma altri sondaggi danno a mrs Clinton un margine di appena tre punti. E poi Trump ha recuperato alla grande sui suoi avversari, dunque anche gli otto punti di vantaggio del sondaggio più favorevole possono essere poca cosa se raffrontati alla capacità di insultare del prossimo candidato repubblicano, capacità che potrebbe incenerire la signora democratica all’apparenza tanto per bene. Bill, cioè il marito di Hillary, che fu presidente degli Stati Uniti due volte negli anni Novanta, ha il terrore della lingua biforcuta del miliardario repubblicano, anche se Hillary fa sapere di aver trovato la tattica per sbaragliare il nemico: mostrare quanto Trump sia misogino e togliergli il voto delle donne, quanto sia razzista e togliergli il voto degli ispanici, quanto sia inaffidabile e togliergli i voti della classe media. Programma molto vasto. Matthew Dowd, che ha ha fatto il consigliere strategico per Bush, ha sintetizzato il problema con questa similitudine: «Hillary ha un’organizzazione che somiglia a quella di una nave petroliera, ma affrontare Trump è come vedersela con i pirati somali».

Stiamo parlando come se Hillary e il miliardario, dopo il SuperMartedì del 1° marzo, avessero già ottenuto le nomination democratica e repubblicana.
È vero, i due sono in testa ma i loro avversari non sono ancora matematicamente fuori gioco. E dunque la facciamo forse troppo facile. E tuttavia, giudichi lei. I risultati del Supermartedì (si chiama così perché un mucchio di stati votano contemporaneamente) sono questi. Tra i democratici: Clinton ha vinto in 7 stati e Sanders in 4, Clinton ha al suo attivo 1.005 delegati, Sanders 373, e in più c’è la faccenda dei superdelegati...  

Che non ho capito.
Gliela spiego subito. Nel 1985 i democratici hanno adottato una norma in base alla quale il 15% dei delegati chiamati a scegliere il candidato per la Casa Bianca non sono votati dagli elettori ma selezionati direttamente dal partito secondo criteri tutti suoi. Ci si aspettava che Obama, come capo del Partito democratico, eliminasse questa stortura, ma il presidente s’è guardato bene dal metter mano alla cosa. I superdelegati sono in tutto 712, e, di questi, 445 si sono già dichiarati per Hillary mentre solo 18 si sono schierati per Sanders. Una sproporzione ovvia, se ci pensa: Hillary è un prodotto assoluto dell’apparato.  

Stava dicendo dei risultati delle primarie.
Sì, avrà visto che in base ai numeri una rimonta di Sanders è assai difficile. Quindi, da questa parte, diciamo al 90% Hillary. E sul lato repubblicano diciamo Trump almeno al 70%. Il risultato del loro SuperMartedì, infatti è stato questo: Trump ha vinto in 7 stati, Ted Cruz in 3, Marco Rubio in 1. Trump ha dalla sua 285 delegati, Ted Cruz 161, Marco Rubio 87, John Kasich 25.  

In definitiva, paragonandoli a Sanders, gli avversari di Trump non sono così distanti.
Il problema in campo repubblicano è che nessuno intende rinunciare, sicché il voto degli avversari di Trump si disperde nonostante le riunioni-fiume e i pugni sul tavolo di Karl Rove, l’uomo che faceva vincere le elezioni a Bush. Il partito, che non avrà nessuna capacità di controllo su Trump - il quale è abbastanza ricco per infischiarsene di quello che vogliono i capi della politica -, può sperare ancora o in un accordo Cruz-Rubio-Kasich che privilegi - sperano loro - Rubio, oppure in una discesa in campo di Bloomberg che fu sindaco di New York ed è stato sia con i democratici che con i repubblicani oppure in una conclusione delle primarie aperta che permetta alla Convention finale in cui si deciderà il candidatio anti-Clinton di manovrare in modo da far fuori Trump.  

Dove si svolgerà la prossima battaglia?
Sabato in Kansas.