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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

Ma Michelangelo aveva l’artrosi?

P otrebbero essere riesumati i resti del corpo di Michelangelo conservati nella tomba a Firenze, a Santa Croce. Potrebbero essere allineati sul tavolo di un laboratorio, esaminati con una risonanza, studiati da chirurghi plastici e reumatologi insieme a storici della Medicina. Questo, per aggiunge altri nuovi tasselli al ritratto del maestro morto nel 1564 a Roma (e trasportato di nascosto con un calesse a Firenze), per definire meglio la sua “cartella clinica”, per valutare la sua forza fisica e, soprattutto la sua capacità di resistere al dolore. A quello che gli procuravano le sue mani nodose e tumefatte, dalle articolazioni rigide, spesso gonfie, a volte incapaci a mettere la firma e a volte così forti da martellare il marmo fino a sei giorni prima di morire a 89 anni.
GLI AMICI
L’ipotesi di mettersi a studiare le dita, i palmi e i polsi del maestro arriva da uno studio italiano (pubblicato sul “Journal of the Royal Society of Medicine”) realizzato da un gruppo di studiosi di cui fanno parte Donatella Lippi e Marco Matucci-Cerinic del dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’università di Firenze e Davide Lazzeri, chirurgo plastico di Villa Salaria a Roma cultore di Storia della medicina presso l’ateneo fiorentino. La diagnosi: osteoartrosi alle mani. Quelle mani ritratte, anatomicamente in modo perfetto, da due amici di Michelangelo, Daniele da Volterra detto il “Braghettone” e da Jacopino del Conte che a quelle dita dedicò tre tele. «La diagnosi che abbiamo fatto – spiegano i ricercatori – offre una spiegazione plausibile alla perdita di destrezza in età avanzata da parte di Michelangelo. D’altra parte il nostro studio sottolinea il trionfo dell’artista sulla patologia che avrebbe potuto generare infermità delle sue mani mediante un’incessante attività lavorativa perdurata fino agli ultimi giorni. Il lavoro continuo ed intenso ha contribuito a mantenere in Michelangelo l’uso delle mani il più a lungo possibile».
LA SCRITTURA
I dipinti degli amici, l’analisi degli esperti e le stesse parole dell’artista («Lo scrivere m’è di gran fastidio» nel 1552, «Farò scrivere ad altri e io sottoscriverò» nel 1563) hanno permesso, dunque, di escludere che il Buonarroti fosse malato di gotta come si è sostenuto per lungo tempo e che il suo problema stesse proprio in quelle mani che, per una vita, avevano lavorato il marmo, disegnato e dipinto. In Italia sono poco più di 4 milioni le persone che soffrono di artrosi, la metà quasi solo alle mani. «Una patologia prevalentemente al femminile – fa sapere Donatella Fiore che dirige l’unità di Reumatologia al Santo Spirito di Roma – che impedisce anche di chiudere un rubinetto, aprire un barattolo, strizzare i panni. È una malattia degenerativa delle articolazioni che fa gonfiare le mani e porta tumefazioni. L’infiammazione rende “invalide” le dita come il polso. Una grande forza di volontà deve aver guidato il maestro per superare il dolore e le difficoltà nei movimenti. Ai congressi di reumatologia viene frequentemente portata ad esempio la mano di Buonarroti per spiegare come si presenta quando è colpita da osteoartrosi».
LE PROVE
La scorsa settimana, la presentazione a Firenze, dello studio nell’ambito della mostra “Body Worlds” insieme all’ipotesi di studiare meglio i resti di Michelangelo. «Mancano prove paleopatologiche – ha detto Donatella Lippi paleontologa dell’università fiorentina -ma se le autorità fossero interessate siamo a disposizione». Magari inserendo lo studio su Buonarroti nell’ambito del “Progetto Medici” che da una decina d’anni ha riesumato i corpi di esponenti famosi della famiglia di Firenze come Francesco I (si è scoperto che è morto di malaria e non è stato avvelenato con la moglie) e Giovanni dalle Bande Nere (è stata un’infezione ad ucciderlo e non l’operazione fatta alla gamba in battaglia).