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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

«La Rai senza varietà non ha più senso». Renzo Arbore parla della sua orchestra (che fa tutto esaurito), del suo libro (che poi è un’autobiografia), di Sanremo («Un carnevale di Rio») e di Padre Pio (che gli suggerì di fare l’avvocato)

Lorenzo Giovanni Maria Antonio Domenico Arbore. In arte Renzo. Nato giusto giusto giusto nell’anno in cui moriva Guglielmo Marconi. «Ma non ho fatto in tempo a dispiacermi», racconta nel suo libro Renzo Arbore- E se la vita fosse una jam session?, fresco di pubblicazione per Rizzoli. Difficile, quasi impossibile, raccontare tanta vita in una sola intervista. Ma tanto bello poterne parlarne con lui che, sfondato il traguardo dei 50 anni di onorata carriera, si prende ancora la briga di raccontarsi e raccontare. Attraverso le pagine del suo libro, viaggio autobiografico fra immagini inedite e ricordi da non far scappare e Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate, la mostra romana (fino al 3 aprile) che lo vede più che protagonista, artista. Si narra senza censure. Con entusiasmo. E, se non bastasse, continua a suonare mai pago, con la sua Orchestra Italiana. Riempie ancora i teatri, fa ballare, cantare, emozionare. Stasera è al Nazionale di Milano.
Com’è che l’Orchestra italiana, dopo 26 anni, funziona ancora così bene?
«Il segreto? Faccio le cose a lunga durata. Tutti i miei programmi sono replicabili. Mentre quelli di oggi sono usa e getta. L’orchestra è la stessa cosa: quando ho visto che si stavano dimenticando delle canzoni napoletane e della loro bellezza, ho capito che erano senza passato».
Uno dei segreti del suo successo è l’improvvisazione. Improvvisa ancora?
«Sì. Anche adesso. Mi ha molto aiutato il jazz. Ho pensato che si poteva improvvisare anche con le parole, non solo con gli strumenti e l’ho fatto, insieme a Boncompagni: prima con la radio, poi con la tv».
Se Arbore fosse stato un nativo digitale, sarebbe comunque diventato Arbore?
«No. Perché non c’è più tempo di annoiarsi. Io sono un fan dell’ozio creativo, che non è il padre ma il nonno dei vizi, quindi è simpatico. Però la rete mi piace perché imparo moltissimo».
Si è laureato in giurisprudenza, ma voleva fare l’artista. È vero che persino Padre Pio le aveva suggerito di fare l’avvocato?
«È vero. Ma Padre Pio, sbagliò (sorride divertito, ndr)».
Ha scritto nel suo libro che si può stonare ma se riesci a trasmettere emozioni, sei comunque un artista. Chi la emoziona oggi?
«Cristicchi, mi piacciono i temi che esplora: dal manicomio, alla guerra. E poi, Elio (delle Storie Tese, ndr). Ma chi è riuscito ad emozionarmi fino alle lacrime è stato Iannacci, il più geniale di tutti quelli che ho incontrato: abbiamo cantato O mia bela madunina sotto il Duomo in una bellissima serata d’estate. Sentire i mandolini che facevano quel ritornello fu incredibile: nord e sud che si univano».
Cosa pensa dei talent show?
«Mi piacciono. Ma vorrei che si allargassero anche a talenti non prettamente musicali: scrittori, comici, poeti».
Ha guardato Sanremo?
«Sì. È una rassegna italiana, un carnevale di Rio. Va visto, è lo specchio di una certa Italia».
Si è esibita Patty Pravo, sua amica dal Piper e hanno vinto gli Stadio, non più giovanissimi. Tornerebbe su quel palco?
«No. Ho fatto una follia nell’86 con “Il clarinetto”. L’ho fatto perché non c’era più la canzone umoristica, non m’importava di essere bocciato».
Sostiene che l’imitazione sia più facile dell’invenzione di un personaggio. Le piace Virginia Raffaele?
«È bravissima, non fa solo imitazioni. Insieme a volte improvvisiamo delle stupidaggini: è fenomenale. Le imitazioni sono un grande lasciapassare per diventare popolari».
Per guardare Quelli della Notte (in onda alle 23), la gente metteva la sveglia. C’è ancora una trasmissione per la quale valga la pena farlo?
«No. Oggi l’intrattenimento televisivo è sofferente, tutto uguale. C’è molta finta allegria, non c’è la risata di pancia».
Perché?
«Perché decide l’auditel, è la dittatura dell’incasso: non sono nemico dell’auditel, non sono mai stato comunista e sono sempre stato per il mercato. Però quando il mercato prende troppo il sopravvento, ci rimette l’arte».
Come se ne esce?
«Con coraggio, cercando la difficile commistione tra mercato e nuove idee. E poi ci dev’essere chi ti consente di farlo. Rinnovare il varietà dovrebbe essere un diktat per il servizio pubblico».
A proposito: lo sente il vento di rinnovamento annunciato da Viale Mazzini, con l’arrivo di Campo Dall’Orto e le nuove nomine?
«Vediamo dove vanno a parare, sono molto curioso: perché fino ad ora hanno parlato. Stiamo a vedere».
Craxi le offrì di fare il direttore di Rai 2, ma rifiutò «per fare l’artista».  Com’è cambiata la Rai?
«Purtroppo la Rai è da sempre condizionata dalla politica, non c’è nulla da fare: se non hai il protettore politico è difficile. Tutti devono appartenere ad un’area e questo cozza con il mondo artistico».
Mediaset è meglio?
«È una televisione commerciale, non cambia tutto ogni volta che cambiano i governi. E se trova dei bravi professionisti, li coltiva e se li tiene».
Un consiglio per chi voglia fare l’artista, anche se dovrebbe fare l’avvocato?
«Assecondate le vostre passioni. La parola chiave? Passione».