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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

Le nuove dimissioni online potrebbero costare care allo Stato

Un clic in meno che vale circa un miliardo e mezzo di euro. Il 12 marzo prossimo entrerà in vigore la nuova disciplina sulle dimissioni dei lavoratori che manderà in pensione il vecchio modulo cartaceo. Obiettivo dichiarato: evitare la cattiva pratica delle dimissioni in bianco. Ogni anno in Italia si dimettono circa 1,4 milioni di lavoratori. Cioè poco più del 10% dei lavoratori italiani. Ma con l’avvio della disciplina on line scatta un pericolo che potrebbe costare caro alle casse dello Stato e a segnalarlo è la Fondazione Studi Consulenti del lavoro.
Il decreto attuativo della riforma del Jobs act ha, infatti, reso più rigide le regole relative alle dimissioni dall’azienda da parte dei lavoratori. Di fatto, il dipendente intenzionato a lasciare il proprio posto di lavoro non potrà più inviare una semplice lettera al proprio datore ma dovrà compilare un modulo on-line. Il lavoratore dovrà richiedere anche «username» e «password» per accedere al portale www.cliclavoro.gov.it. In alternativa, il lavoratore potrà rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati alla identificazione dei lavoratori (patronati, enti bilaterali, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione). Se solo il 50% si rivolgerà ai soggetti abilitati, il costo per i lavoratori sarà di 10,5 milioni di euro. C’è poi chi abbandona improvvisamente il posto di lavoro. Le stime di questo fenomeno oscillano attorno al 5% delle dimissioni che avvengono ogni anno: quindi parliamo di circa 70 mila rapporti di lavoro che la legge lascia nella completa incertezza poiché senza la compilazione del modulo on-line le dimissioni non sono valide. Per questo motivo il datore di lavoro dovrà licenziare il lavoratore per giusta causa, operazione onerosa visto che in tal caso è dovuto il cosiddetto «ticket licenziamento» che (per una anzianità fino a 3 anni) può arrivare fino a 1.500 euro circa. Quindi le aziende avrebbero un potenziale maggior costo di 105 milioni di euro l’anno.
Il punto è che se una dimissione (anche di fatto) si tramuta in «licenziamento effettivo», per il lavoratore che abbandona il posto scatta il diritto alla cosidetta indennità di disoccupazione (oggi denominata Naspi). Su una retribuzione non superiore a 25 mila euro l’anno, il costo del trattamento su 24 mesi è di circa 21 mila euro. Ciò significa che lo Stato potrebbe essere chiamato a corrispondere a questi lavoratori una indennità (su due anni) di 1,47 miliardi di euro.
Soluzione possibile? Ripristinare il sistema della convalida delle dimissioni, metodo attualmente in essere fino al prossimo 11 marzo. Il datore di lavoro, nel caso in cui il lavoratore non dovesse convalidare le dimissioni online, gli invia una raccomandata con la richiesta di conferma che diventa automatica nel caso di silenzio oltre i 7 giorni. «Si tratta di una norma di buon senso – afferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del lavoro -, con la quale si potrebbero evitare le nefaste conseguenze economiche della nuova normativa». Una raccomandata in più e un clic in meno.