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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

Fiducia nella ripresa. Ecco cosa hanno in comune Mattarella e Renzi

Nulla è più soggettivo e controverso dei numeri: in politica ognuno se li rigira come meglio crede. A questo destino non si sottraggono i dati Istat. Le stesse identiche cifre diffuse ieri permettono al premier di sostenere che siamo guariti, le tasse vanno giù, l’occupazione su, e invece ai «gufi» di spargere dubbi. Ciò che per Renzi rappresenta un successo incontestabile, a sentire le opposizioni fa parte della sua propaganda. L’effetto finale è di disorientare chiunque non s’intenda di economia, cioè la stragrande maggioranza degli italiani: possono davvero fidarsi? Un indizio di come stanno realmente le cose viene dal Colle più alto.
Là il punto d’osservazione è tale che nessuno, più di chi vi abita, ha gli strumenti per giudicare dove stiamo andando. Il Presidente della Repubblica colloquia non solo con il governo ma con altri Capi di Stato.
E con governatori delle banche centrali, con i vertici Ue, con esponenti del mondo finanziario e produttivo. Ebbene: Sergio Mattarella nutre un’autentica fiducia nella ripresa. Anche lui ritiene, al pari di Renzi, che l’inversione di tendenza sia già in atto e che possa proseguire in futuro a ritmi incoraggianti. Non solo il Presidente lo pensa, ma lo dichiara pubblicamente. Da almeno sei mesi i suoi discorsi vogliono trasmettere il senso di un’impresa fattibile, di una montagna che si può scalare tutti insieme, a patto naturalmente che facciamo squadra. Chi ha ascoltato il discorso di fine anno ricorderà quel passaggio dove Mattarella segnalava: «La condizione economica dell’Italia va migliorando, anche le prospettive del 2016 appaiono favorevoli, l’occupazione è tornata a crescere...». Concetti ribaditi due settimane fa in America: l’economia «è tornata a crescere nel 2015 e, secondo le previsioni più attendibili, consoliderà questa dinamica positiva nel 2016».
In sintesi, i due presidenti condividono la stessa interpretazione dei dati economici fondamentali. Hanno in comune un’attenzione forte per l’Italia reale, una visione dei problemi che gli scienziati anglosassoni della politica definirebbero «bottom up», dal basso della vita quotidiana proiettata verso l’alto. Inutile aggiungere l’ovvio, che tra i due il tono non può essere lo stesso e anche le rispettive audience sono necessariamente diverse. Renzi ha molto a cuore il consenso degli elettori, specie in vista del referendum costituzionale di ottobre, su cui tutte le tensioni rischiano di scaricarsi tipo parafulmine. Il suo obiettivo è rimarcare in patria i progressi, come fa qualunque premier dove regna la democrazia. Mattarella da parte sua si è dato la «mission» di presentare un’immagine positiva dell’Italia specie all’estero, di spiegare che i nostri sospettosissimi partner fanno bene a fidarsi perché le riforme procedono davvero, che nonostante i debiti restiamo un paese finanziariamente solido (come l’insospettabile classifica della fondazione tedesca Stiftung Marktwirtschaft ha confermato).
Ma la differenza di ruolo non può mettere in ombra che la valutazione del momento economico è quasi sovrapponibile. E che da questa sintonia sostanziale derivano alcune conseguenze per la politica. La prima e più importante: se c’è davvero la ripresa economica, non possiamo permetterci il lusso di farla deragliare. Ogni occasione per mettere a segno qualche progresso dev’essere sfruttata. E dunque l’unico orizzonte elettorale plausibile resta il 2018, coincide con la fine naturale della legislatura. Chi sogna di votare tra un anno è molto lontano dall’aria che si respira ai piani nobili delle istituzioni.