Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

La vita felice di Pirlo a New York

Vive a Chelsea nel quartiere delle gallerie d’arte, e dove sennò: Andrea Pirlo a New York è il Maestro. Tra i vari nomi accademici dell’architetto del calcio (Mozart, Professore, Metronomo e appunto Architetto), gli americani hanno scelto quello che incarna meglio la loro idea di made in Italy. Lo scrivono con la M maiuscola, giustamente, anche se a Manhattan il pallone è un’arte ancora così misteriosa che avrebbero potuto usare Sacerdote. «Rimanere qui? Non lo escludo, potrebbe essere qualcosa di interessante». Ha 36 anni, e un contratto fino a dicembre 2017. La vita nuova di Pirlo, altro che crepuscolo. Barba folta, capelli lunghi, giacca doppio petto in pied de poule, camicia di jeans. Gli occhi di sempre, leggermente chiusi, per trattenere tutte le visioni del mondo. Sul New York Times il ritratto del regista, il primo sul quotidiano dal trasferimento nella Grande Mela l’estate scorsa dalla Juventus. 13 presenze, 5 assist e zero gol nel New York City FC fuori dai playoff l’anno scorso. Con lui, David Villa e Frank Lampard. Il campionato riparte la prossima settimana con la trasferta a Chicago. Il giorno del suo esordio, il 26 luglio 2015, al 53’ del match contro l’Orlando City di Kakà, allo Yankee Stadium c’erano 32041 persone a urlare «We want Pirlo!». Il compagno di squadra Mix Diskerud, norvegese naturalizzato Usa, disse: «C’è una calma che lo circonda. Non perde palla e vede ogni cosa».Le mani in tasca mentre passeggia vicino Herald Square, tra Broadway, Sesta e 34, il distretto dello shopping. Nei musei a vedere Alberto Burri, o nei ristoranti, spesso dall’italiano Felidia, la proprietaria è la mamma di un suo amico. Beve vino, da amante e produttore. Si fa spedire gli abiti dall’Italia. La sera due passi sulla High Line, il giardino pensile costruito su una vecchia ferrovia, sotto il Meatpacking e una giungla di caffè e locali. Gioca a golf nel Bronx. Qualche turista lo riconosce: selfie e poi di nuovo libero. «Ho sempre desiderato venire a giocare in America, ma non pensavo così presto. Qui la sera si può andare fuori a cena senza problemi, invece in Italia non posso farlo. Anzi, in Italia a volte siamo rimasti nello spogliatoio fino a tardi perché non era sicuro tornare a casa. Il nostro autobus veniva attaccato o le gomme tagliate».New York ti travolge, ma non ti tocca. Si dice che il suo impatto negli States sia secondo solo a quello di Beckham a Los Angeles, ma lo Spice boy girava con un macchinone col numero della sua maglia sul cofano. Pirlo va a piedi, e la sua maglia 21 è quarta nelle vendite negli Usa. Non è il calcio del lusso: “solo” 2,3 milioni dollari a stagione (il 14° più ricco nella Lega Usa), che però è uno stipendio 46 volte superiore a quello base dei giocatori della Mls. L’anonimato è oro, per un Maestro.