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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

Gli oggetti che tocchiamo

Quanti oggetti tocchiamo in un giorno? E quali? È la domanda che si è posta Paola Zuccotti, designer e fondatrice dell’agenzia Overworld, per costruirne un percorso artistico- sociologico. Il risultato, che non ha un valore statistico ma vuole fare piuttosto il punto sul contatto tra cultura e tecnologia, è raccolto da una serie di immagini, ora contenute in un libro. Sono fotografie degli oggetti toccati, in un solo giorno, da un bambino a Melbourne, da un cowboy in Arizona, da un artista a Los Angeles, e via dicendo. A guardarle così, come distese su un telone, appaiono un puzzle finito, un patchwork esistenziale.Una coperta di cose sotto cui sta riposando colui che le ha toccate. In sostanza: quello che tocchiamo ci racconta. La letteratura l’ha sempre saputo: dal gesto di Don Abbondio all’apparire dei bravi che «mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare» fino aLa sicurezza degli oggetti di A. M. Homes.Bisogna provare a pensarci; anzi, bisogna fare l’esperimento. Io ho chiesto ad alcune persone, escludendo le parti del corpo e il cibo, di annotare tutto quello che toccano dalla mattina alla sera. Leggendo le liste, qualcosa accade: raccontano una storia.Daria ha dodici anni e ha fatto il suo esperimento di domenica, ha contato 68 oggetti. Il primo della giornata era copriwater e l’ultimo cuscino. La immagino andare in bagno in stato catatonico da domenica mattina, tutte le porte già aperte dai genitori che tentavano vanamente di svegliarla, forse la madre le aveva anche già tolto il piumone da dosso: ecco che non tocca le maniglie o le coltri. Fino a tornare a quel cuscino c’è una domenica fatta di ozio, senza mai uscire di casa (scarpe non c’è mai), ma piena di cose che dicono la giovane età, il suo stare nel mondo senza al mondo affacciarsi (mouse, computer, tastiera, tablet), la femminilità che cresce (trousse, acetone, smalto, orecchini, spazzola, elastico): gli esperimenti della bellezza che vivono solo dello specchio e del sé, non cercano ancora o per forza riflessi negli occhi degli altri. I piccoli doveri (libri scolastici e quaderni), anche casalinghi: lettiera, e croccantini non stanno solo raccontando che c’è un gatto, ma anche che, in famiglia, se ne prende cura lei. E in modo molto femminile se aggiunge anche un profumo per la lettiera.Le liste di oggetti insoliti dicono di vite fuori dall’ordinario: nella stessa domenica Rosa, monaca di clausura, annota gli oggetti che tocca: tonaca, corda, scapolare, sandali, crocifisso, soggolo, benda ce la mostrano mentre si veste, e raccontano di un abbigliamento senza tempo, uguale a se stesso da cinquecento anni. Scende in coro per il suo ufficio domenicale: acqua santa, accendino (per le candele), breviario, immaginette, libro. Come sacrestana, la domenica prepara la chiesa giù, per la messa aperta al pubblico: calice, patena, ostie, vino, ampolline, lavabo, lezionario, messale, leggio, microfono, ammitto, camice, casula, manutergi, purificatoi, palla. Usa anche cellulare e computer. Poi medita (candeliere, corona del rosario, panchetta). Infine mette a letto le sorelle malate in infermeria: sedia (a rotelle), girello, vasi (della notte), pala, bombola (di ossigeno), corde (per le imposte delle finestre).Altri uffizi, altra vita per il lunedì dell’impiegato, che include l’esperimento nella sua giornata annotando prima block notes e matita di ciabatte. Anche qui la vestizione è un rituale (abito a giacca, camicia, cravatta, scarpe, calzini, cintura, deodorante), deve far freddo, perché segna cappotto, cappello, guanti, e sa che potrà concedersi del tempo, se assieme a portafogli, telefonino, chiavi di casa, prende libri. Durante l’attività d’ufficio fuma (monitor, faldoni, posacenere, tamponi, timbro), poi sbaglia qualcosa (“spillatrice”, “de spillatrice”) e finalmente il libro ricompare accanto a boccale birra, posate, menù. Dopo una decina di oggetti va a prendere la figlia a scuola (zaino figlia), e poi cucina la cena concedendosi subito un bicchiere (pentola, padella, calice, mestolo, bottiglia vino, cavatappi, tappo sughero, petto di pollo, olio, sale). L’insegnante di Empoli quel lunedì è uscita di casa vestita con molta cura (calze, stivali, foulard, occhiali da sole) anche se poi è stata tutto il tempo ad altezza bambino (sedia bassa, libro, pastelli a cera, mucca di plastica, brandina pieghevole, ovetto Kinder, barattolo, pennarelli). Qui la spillatrice è servita ad altro, forse a fissare un origami: è assieme a foglio A4, scotch.Perché è vero che il singolo, particolarissimo oggetto, quello fuori dal comune racconta da solo, ma è anche vero che tutti gli altri oggetti, quelli comuni, messi assieme, comunque raccontano storie diverse. Il mio accendino serve per le sigarette, quello della monaca per le candele, che non le segna: devono essere già nei candelabri quindi non ha bisogno di toccarle.Anche quando gli oggetti sono uguali per tutti il loro elenco dice qualcosa: per esempio di come cambia il genere umano se, nessuno escluso tra quelli nominati fin qui, siano dell’Ontario o di Napoli, tutti toccano un cellulare. Guardare le liste o le foto degli altri è come quel gioco enigmistico in cui unendo i puntini compare il disegno finale. Ma è un buon esercizio anche personale: sorprende nel numero di oggetti che tocchiamo ogni giorno, e sorprende vederli tutti assieme, come se il risultato fosse molto veritiero. Quando ho riletto la mia lista sono senz’altro riandata con la memoria a quello che ho fatto, ma procedendo con un montaggio diverso. Io so che tra scontrino, busta e porta dell’ascensore c’è tutto il marciapiede di via Duomo, l’attraversamento pedonale alle strisce, un’improvvisa umidità nell’aria, e un condòmino gentile che mi ha tenuto il portone affinché entrassi nell’androne. Ma se mi devo attenere a scontrino- busta- porta dell’ascensore tutto questo scompare e vedo una persona che solleva una busta dalla cassa di un supermercato, per poi rivederla davanti alla porta dell’ascensore di casa sua. È un trattamento cinematografico diverso dello stesso plot, è il film delle mie azioni scritto da un’altra mano e passato già al montaggio. Anzi è una forma di traduzione che, se semplifica, permette di ricreare: realtà/ oggetto/ ricostruzione della realtà.Forse i nostri oggetti sono più immediati di noi: metterli insieme e guardarli è un principio di autobiografia.