Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

«Tutto nasce da una macchinetta del caffè». Parla Giovanna Ceribelli, il revisore dei conti che spiega come ha smascherato lady dentiera

«Noi revisori dei bilanci degli ospedali abbiamo un potere immenso. Io posso dire a chiunque: “Aprimi il cassetto, fammi vedere che cosa c’è”. E se qualche cosa non va, ho l’obbligo di segnalarlo alla Corte dei conti».
E perché, a parte il lavoro suo, e di pochi altri, questo potere e dovere di controllo latita?
«Per paura. Famiglia non ne ho. E non sono comprabile».
Perché s’è data da fare?
«La materia degli appalti, anche degli appalti ospedalieri, è difficile, bisogna entrarci dentro. Ma si capisce subito che questo settore sta ammazzando il nostro Paese. I soldi pubblici escono dalle casse statali attraverso appalti condizionati, truccati, non corretti. Lo chiamo “il dramma degli appalti”».
I tre quarti del bilancio della Lombardia riguardano le spese della sanità, girano un sacco di soldi, circa 17 miliardi e mezzo di euro. Gli interessi inconfessabili di chi sono?
«Dei partiti e della malavita organizzata. Nessuno vuole i controlli. Anche la Riforma Monti, per la spending review, ha abbassato il numero di revisori da cinque, com’eravamo, a tre, togliendo una nomina alla Regione e una alla conferenza dei sindaci. Quindi colpendo proprio le espressioni del territorio. Il risultato è che si affogherà ancor di più tra le carte».
Lo studio di Giovanna Ceribelli è spartano, si trova nella periferia del potere, a Caprino Bergamasco. Ma se il leghista Fabio Rizzi, padre della riforma sanitaria lombarda e amico (ex, ormai) del presidente Roberto Maroni, e se Paola Canegrati, la “zarina delle dentiere”, sono in carcere, con accuse gravi e precise, lo si deve non solo a carabinieri di Milano e magistratura di Monza, ma anche a questa commercialista di 68 anni. Laureata alla Bocconi, è vestita come un capocantiere, pantaloni comodi e due maglioni uno sull’altro. È lei che è andata a caccia di notizie, le ha trovate e fatto rapporto.
Può spiegare a chi non conosce “il sistema” come ha potuto vedere ciò che altri suoi colleghi non hanno visto negli appalti all’ospedale di Vimercate, il fulcro dell’inchiesta giudiziaria?
«Un passo indietro. Serve partire da un altro ospedale, il Bolognini di Seriate. Abbiamo scoperto, noi revisori dico, che era truccata la gara degli appalti degli ascensori e l’abbiamo segnalata. Qualcuno è stato condannato a un anno e dieci mesi. E abbiamo segnalato anche che il direttore generale usava l’auto di servizio per le sue vacanze in Croazia».
Amedeo Amadeo, ex europarlamentare di An, uomo di Ignazio La Russa nella Sanità, giusto?
«Per me non è questione di politica, anche se mi accusano di essere di sinistra. Quelle vacanze erano irregolari, la procura di Bergamo ha chiesto il rinvio a giudizio per peculato di Amadeo. Il mio stipendio, poco più di 18mila euro lordi, me lo sono però guadagnato con la questione delle macchinette del caffè».
Cioè?
«Un’azienda aveva piazzato nell’ospedale Bolognini 65 macchinette senza dare in cambio un euro. La spiegazione? Stampavano un giornale, una volta all’anno. Assurdo, quanto meno. Non va bene, ho detto. E così, per rinnovare l’appalto per tre anni, questa ditta ha pagato. Quanto? Ben 550mila euro. Non è mio compito trarre conclusioni, il controllo sul campo è tutto».
Nessuna ritorsione?
«Sa dove sono adesso i miei colleghi revisori di Seriate? Nessuno lavora più con il pubblico, è così che gira il mondo della sanità, e non solo».
Molto grave, ma forse stiamo perdendo di vista la “zarina” Canegrati e l’idea padano-formigoniana del “sorriso per tutti”.
«Affatto, sono partita da Seriate perché anche lì Canegrati aveva l’appalto del servizio dentiere. La concorrente alla gara si era ritirata, ma esistevano intrecci societari molto sospetti. Chiediamo di far luce e non ci danno i documenti, sostenendo che come revisori eravamo in scadenza. Ci bloccano, ma la vita sa riservare delle sorprese. Nel 2012 divento revisore all’ospedale di Vimercate e, guarda caso...».
Un’azienda Canegrati ha vinto l’appalto per le cure dentistiche.
«Già, grazie a due clausole strane. Una, che doveva versare al momento dell’aggiudicazione, la sberla di 510mila euro. L’altra, che alla gara potevano partecipare aziende con 60milioni di fatturato. Allora chiedo all’ospedale: “Dov’è la fattura dei 510mila che ci deve la Canegrati?”. “Ah, nessuno l’ha detto”. Dal 2009 la Canegrati aveva vinto, ma non era stata eseguita la minima verifica, come mai?».
Dopo il suo contribuito a incrinare il “sistema”, è tranquilla?
«In verità non troppo, ma mi pare che l’aria stia cambiando, rispetto a una volta. C’è più bisogno di onestà, di trasparenza. Lo sento».
Speriamo. Lei è adesso revisore dell’ospedale di Chiari, giusto?
«Veramente non ci sono entrata, il ministero della Sanità è in ritardo con le nomine. Ma so che cosa farò, appena potrò. E non ho problemi a dirglielo. Andrò a vedere le “Casse”. Perché il gruppo Canegrati, a Chiari, come in tanti ospedali, aveva la gestione delle casse dove si pagano i ticket e le prestazioni. A gestire quel denaro non sono i dipendenti degli ospedali, ma i dipendenti della Canegrati. Un bel po’ di cash, vero? E non le sembra dovere di un revisore andare a “nasare”?».