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 2016  marzo 02 Mercoledì calendario

Regeni è stato torturato per sette giorni. Lo dice l’autopsia ma il Cairo smentisce

Giulio Regeni è stato per almeno sette giorni nelle mani dei suoi aguzzini. Non lo hanno ucciso subito. Ma è stato torturato per giorni, con tecniche da professionisti: qualcuno, evidentemente né balordi di strada né criminali comuni, cercava però risposte che Giulio non poteva avere. Perché, come documentano le prime indagini, l’unica cosa che il giovane ricercatore possedeva era il suo metodo, il suo studio, la sua curiosità.
Le prime verità sulla morte di Regeni, nel vuoto assoluto di collaborazione da parte dell’Egitto, arriva dall’unica cosa che può parlare senza subire depistaggi: il suo corpo. I primi esami effettuati sul cadavere di Giulio, abbandonato il 3 febbraio su una strada che dal Cairo porta ad Alessandria, stanno dando i primi punti fermi dell’indagine. Ieri mattina dal Cairo sono rimbalzati i primi rumor che confermavano quanto scritto nei giorni scorsi: «Giulio – avrebbe detto all’agenzia di stampa Reuters una fonte della procura di Giza è stato torturato per almeno cinque, e forse addirittura sette giorni, ad intervalli di 10-14 ore: le ferite e le fratture sono state procurate in tempi diversi nell’arco di circa 5-7 giorni: questo significa che chi lo torturava lo stava interrogando per ottenere informazioni». Una versione questa che, evidentemente, cozzava con i tentativi di depistaggio del ministero dell’Interno egiziano che appena tre giorni fa indicava le «molteplici relazioni» di Giulio come possibile movente del delitto. Una versione tanto scomoda da essere prontamente bollata come bufala nel pomeriggio di ieri dalle autorità del Cairo.
La smentita ufficiale egiziana ha lasciato però, come al solito, un velo opaco. Non fosse altro perché la ricostruzione offerta dalla fonte non fa altro che confermare i primi dati emersi dall’autopsia effettuata in Italia dal professor Vittorio Fineschi, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’università La Sapienza di Roma. Innanzitutto sulla data della morte: Giulio è morto nelle 48 ore precedenti al suo ritrovamento, avvenuto il 3 febbraio. Dalla sera del 25 gennaio al primo febbraio è dunque stato sicuramente vivo, nelle mani dei suoi rapitori. È stato dunque ucciso nelle ore in cui la Farnesina lanciava l’allarme per la sua scomparsa. Ma cosa è successo nei giorni di prigionia? Giulio, dicono gli italiani senza alcun dubbio, è stato torturato a più riprese. Come dimostrerebbero i ta- gli, effettuati in tempi diversi. Ma soprattutto era finito nelle mani di torturatori professionisti: nonostante le tante fratture in tutto il corpo, non ha lesioni agli organi interni. L’obiettivo dunque era farlo parlare.
L’autopsia non riesce però a rispondere alla domanda fondamentale: cosa pensavano che Giulio sapesse? «Era stato scambiato per una spia» sono convinti gli investigatori italiani, certi che la chiave della storia sia nella riunione dei sindacalisti di dicembre, a cui Giulio ha partecipato. E nella quale era stato fotografato, chissà perché. «Potrebbero averlo tradito quelli della Oxford Analytics» dicevano ieri dal Cairo, ipotesi però seccamente smentita dalla società di analisi per cui Giulio aveva lavorato prima di partire per l’Egitto. Cosa, allora? E soprattutto perché fare ritrovare in quelle condizioni il cadavere? «Giulio, suo malgrado è diventato un messaggio: resta da capire chi è il mittente e chi il destinatario» spiega una fonte italiana. Ecco perché ci si sta concentrando anche sulla riunione di imprenditori, alla quale partecipava anche il ministro Federica Guidi, che era in corso proprio il 3 marzo al Cairo. Si brindava ai nuovi accordi tra Italia ed Egitto mentre il corpo di Regeni veniva scaricato per strada.
Questo lo sanno i nostri diplomatici, i politici e gli investigatori. Che infatti ritengono che il tempo dell’attesa sia terminato. Se ritirare l’ambasciatore può sembrare una mossa troppo forte, tra domani e venerdì è fissata la time line della collaborazione: se i nostri investigatori non riceveranno, com’è accaduto fino a ora, tutti i documenti di indagine potrebbero andare via aprendo ufficialmente una profonda crisi di diplomazia. «Sia la famiglia Regeni ha detto ieri non a caso il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni – che la dignità del nostro paese richiedono elementi certi e seri. Abbiamo ricevuto assicurazioni che i vari elementi dell’indagine saranno messi a disposizione in tempi molto rapidi, nei prossimi giorni o prossime ore. Verificheremo».