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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Il lamento dei magistrati: «Siamo obbligati a liberare i ladri»

È un disastro. I ladri, i rapinatori (se non ci sono aggravanti), tutti quei delinquenti insomma che suscitano tanto allarme tra i cittadini: siamo costretti a rilasciarli tutti e magari dopo mezz’ora sono di nuovo lì che commettono reati”. Antonino Condorelli, procuratore generale di Venezia, sfoglia il codice, poi alza bandiera bianca: “Sono troppi i reati per cui non possiamo applicare la custodia cautelare in carcere. La polizia può arrestare in flagranza i responsabili, ma poi dobbiamo rimetterli fuori”.
In Veneto non si parla d’altro, come ha ricordato il Corriere del Veneto: nel 2006 due nomadi tentarono di derubare il rigattiere Ermes Mattielli che aprì il fuoco ferendoli gravemente. Risultato? “Il rigattiere fu condannato a risarcire i ladri con 135 mila euro. E fin qui niente da dire”, commenta un investigatore che seguì il caso. Ma aggiunge: “Il paradosso è che invece i due ladri pochi giorni fa sono stati fermati per un altro furto. E subito rimessi in libertà. Finora nessuna condanna definitiva. Niente carcere”.
Ma com’è possibile? “Tanti motivi. Il principale: dall’anno scorso è stata approvata una norma in base alla quale prima della condanna l’indagato non può essere inviato in carcere se si prevede un’eventuale condanna inferiore ai tre anni di reclusione”, spiega Condorelli. E aggiunge: “In pratica se prendiamo in considerazione, come quasi sempre accade, le attenuanti e i riti alternativi per la grande maggioranza dei reati non si arriva ai tre anni”. Quindi? “I ladri e i rapinatori, se non ci sono aggravanti, devono essere rilasciati”.
Sono i reati che suscitano maggiore allarme sociale. I numeri parlano di 2.588 denunce per furto ogni 100 mila abitanti nel 2014. Ma nelle città le percentuali salgono: sono 5.090 a Venezia, 7.837 a Milano, 7.584 a Bologna, 5.192 a Roma e 5.587 a Catania. “I furti in casa consentono l’arresto”, spiega Condorelli. Ma il problema, ricorda il procuratore generale, riguarda anche casi di rapina semplice, cioè quando per strada ti portano via il portafogli ma senza usare un’arma. Il numero complessivo delle rapine in Italia è arrivato nel 2014 a 40 mila (nel 2009 erano state 35mila).
Aggiunge ancora Condorelli: “Non so se il problema siano le condizioni delle carceri o l’eccessivo numero di carcerati. Di sicuro da parte del Parlamento c’è stata una stretta impressionante sulla custodia carceraria”.
Ma il punto è anche un altro: “La prescrizione”, allarga le braccia Condorelli, “In pratica la grandissima maggioranza dei nostri fascicoli finiscono in niente”. Quanti? “Su cento una buona parte finisce in assoluzioni, archiviazioni, prescrizioni e patteggiamenti. Ma anche quando si arriva a una condanna, nel 50 per cento dei casi alla fine si prescrive in appello”.
Pochissime condanne e, quindi, pochissime persone che hanno precedenti penali. Un circolo vizioso: “Quindi – ricorda il procuratore generale – non possiamo applicare l’aggravante della recidiva e la custodia cautelare”.
Ma c’è dell’altro, una conseguenza paradossale: “Se lo stesso reato viene commesso per esempio in Veneto e in Trentino, può capitare che in una Regione il responsabile possa essere arrestato e nell’altra no”. Com’è possibile? “In Trentino, per dire, c’è un rapporto molto più favorevole tra magistrati e fascicoli. Si arriva spesso a una condanna definitiva nell’arco di due o tre anni. Così, se un ladro che ha dei precedenti viene fermato può finire in carcere. In Veneto, dove quasi sempre si arriva alla prescrizione, sono tutti incensurati”.
Quali sono i reati più a rischio “impunità”? “Faccio prima a dire quelli per cui si può ancora applicare la custodia in carcere. Gli omicidi, i tentati omicidi, il sequestro di persona, il traffico di quantità rilevanti di droga, le estorsioni più gravi, il furto in abitazione. Altri reati, come lo stalking, sono stati previsti, poi esclusi, infine di nuovo previsti. C’è una legislazione a fisarmonica che magari va dietro agli allarmi della cronaca”, conclude Condorelli.
Certo, non è semplice: “Tra chi commette furti e, magari, anche piccole rapine troviamo tanti disperati che in questi anni sono sempre di più. Ma questa situazione più dei poveracci, protegge i delinquenti di professione”, spiega un dirigente di polizia milanese che si occupa di indagini di furto. E sottolinea: “L’impunità ha effetti catastrofici. Primo, sugli stessi ladri, perché sentono di poter ripetere il reato senza conseguenze. Secondo, sugli investigatori che sono pochissimi, senza mezzi e hanno la tentazione di non indagare su furti e piccole rapine per non perdere energie inutilmente. Alla fine pagano i cittadini”.
Furti, rapine, ma anche spaccio di droga. Come aveva raccontato un mese fa il Fatto Quotidiano: “Nel 2014 – ha spiegato il pm torinese Paolo Borgna – la pena massima per l’ipotesi lieve di spaccio è scesa a quattro anni. Ma la custodia cautelare in carcere è prevista solo per reati con pena massima di almeno cinque anni”. Risultato: “La polizia in flagranza di reato può anche arrestare gli spacciatori, ma dopo 48 ore te li ritrovi liberi”. Nessuna alternativa? “Si possono disporre gli arresti domiciliari”, spiega Borgna, “Ma la maggioranza degli spacciatori da strada non ha dimora. Noi gli diamo magari l’obbligo di firma, però sappiamo che non serve a niente”. L’unica soluzione, spiega il pm torinese, “sono le indagini, gli appostamenti, i pedinamenti. Così si può provare a dimostrare che lo spaccio, anche se di piccole dosi, è attività abituale”.