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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Dormire poco fa ingrassare

Non si nota solo dalle occhiaie. Una notte in bianco si fa sentire anche sull’appetito, e alla lunga sulla bilancia. La correlazione fra insonnia e aumento di peso, piuttosto sorprendente a prima vista, era stata notata qualche anno fa. Ma nessuna delle spiegazioni offerte finora sembrava troppo convincente. Oggi l’università di Chicago mette un tassello importante nella comprensione di questo legame, tirando in ballo un attore cui nessuno aveva pensato prima: il sistema endocannabinoide. Proprio quello che si attiva fumando marijuana (che infatti ha tra i suoi effetti l’aumento dell’appetito).
Dormire poco, hanno scoperto gli endocrinologi dell’università di Chicago, fa aumentare uno dei segnali chimici prodotti dal nostro sistema nervoso – un neuromodulatore chiamato 2-AG – che ha il ruolo di attivare il sistema endocannabinoide. Basta anche una sola notte a occhi aperti perché le concentrazioni di 2-AG nel sangue aumentino, e gli effetti sull’appetito si facciano sentire. La fame si scatena in particolare di fronte al cosiddetto “junk food”: dolci, patatine, snack ricchi di grassi e calorie. “Cibi appaganti”, come li definiscono sulla rivista Sleep i ricercatori guidati dal professore di endocrinologia Erin Hanlon.
Ma che c’entra il sistema endocannabinoide con sonno e appetito? Perché un suo mediatore è in grado di fare da trait d’union fra due fenomeni così diversi come il dormire e il mangiare? «Il sistema endocannabinoide è un insieme di segnali chimici interni al nostro organismo. Fu scoperto molti anni fa proprio studiando gli effetti della cannabis» spiega Vincenzo Di Marzo, direttore dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr a Napoli. «Il suo legame con l’appetito è molto forte, tanto che un principio attivo della cannabis, il Thc, è prescritto in alcuni paesi per indurre la fame nei malati di Aids o nei pazienti sottoposti a chemioterapia. Un farmaco venduto tra il 2006 e il 2008 per combattere l’obesità agiva proprio bloccando uno dei recettori di questo sistema. Si trattava di un medicinale estremamente efficace, ma al sistema endocannabinoide fanno capo molte funzioni, incluse quelle affettive e quelle legate allo stato d’animo. Ci si accorse che bloccandone un recettore si frenava sì l’appetito, ma si provocavano anche problemi di depressione e ansia. Così il farmaco fu ritirato dal commercio».
Meno noto – e qui sta la novità della ricerca americana era invece il legame fra sistema endocannabinoide e sonno. «In effetti – prosegue Di Marzo – uno degli effetti del farmaco anti obesità notati durante i test sugli animali è stato l’aumento della veglia. E se proviamo a guardare alla storia evolutiva dell’uomo, ha senso che un cacciatore primitivo abbia bisogno di mangiare di più, se resta attivo anche durante la notte». Ma se dall’epoca degli uomini primitivi perennemente a caccia di cibo – e cibo calorico, possibilmente – ci spostiamo all’epoca dei frigoriferi sempre pieni, ecco che appare chiaro come il sistema possa andare in tilt. Per noi moderni restare svegli non vuol dire andare a caccia, ma rigirarci nel letto (se non alzarsi per andare al frigo). E secondo l’articolo di Sleep, questa attività comporta un consumo extra di appena 17 calorie all’ora.
I ricercatori di Chicago hanno osservato tutto ciò in un gruppo di 14 volontari che hanno accettato di passare quattro giorni in ospedale dormendo a volontà (8,5 ore a letto e 7,5 ore di sonno effettivo) e altri quattro facendosi venire le occhiaie (4,5 ore a letto, 4,2 di sonno effettivo). Continuamente, con un normale esame del sangue, Hanlon e i suoi colleghi monitoravano l’andamento di 2-AG. Dopo un riposo soddisfacente, il livello del neuromodulatore aumentava gradualmente durante la mattinata, raggiungeva il picco all’ora di pranzo e poi scendeva di nuovo. Ma in mancanza di sonno, questa sostanza chimica continuava ad aumentare fino alle due del pomeriggio, raggiungendo un picco superiore di un terzo rispetto al normale. E al pomeriggio, anziché ridiscendere, si manteneva su livelli piuttosto alti. Scatenando la fame di torte e patatine.
Fame che è stata appagata. Messi di fronte a una tavola imbandita di junk food, i volontari assonnati hanno fatto incetta di calorie: 300 in un’unica merenda pomeridiana, nonostante solo due ore prima si fossero riempiti la pancia con un pasto decisamente lauto, che da solo copriva il 90% delle calorie necessarie a una giornata. Trecento calorie guadagnate mangiando e 68 perse vegliando (17 all’ora moltiplicate per quattro ore di sonno mancate) farebbero un bilancio decisamente positivo per un uomo primitivo. Ma pessimo per una società che invece delle calorie in eccesso ha bisogno di liberarsi. «E a sua volta fa notare in un commento sempre su Sleep Frank Scheer, medico del sonno ad Harvard – un peso corporeo eccessivo può provocare apnea e altri disturbi del sonno».
Finora gli studi su obesità e sonno si erano concentrati sull’equilibrio fra i due ormoni leptina (che segnala sazietà) e grelina (che segnala appetito). Oggi si è visto che il campo di osservazione è più ampio. E che il cibo, in una persona insonne, non svolge solo il ruolo di sfamare. Ma anche quello di appagare, di regalare un momento di piacere in una giornata che, per il resto, ci vedrà probabilmente piuttosto scorbutici.