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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Il paradosso del lupo

Dopo aver penato anni per reintrodurre il lupo appenninico sul territorio, sterminato da decenni di caccia feroce e inconsulta (negli Anni 70 c’erano taglie per la sua uccisione come «specie nociva»), l’Italia sta per dare il via all’uccisione «legalizzata» di una specie altrimenti protetta, per oltre una cinquantina di esemplari all’anno, su circa 1600 stimati (peraltro in aumento). Ogni anno circa il 20% dei lupi italiani muore non per cause naturali, ma soprattutto per lo spietato bracconaggio di cacciatori e pastori: circa 300 individui uccisi con lacci, trappole e bocconi avvelenati, anche nei parchi nazionali (l’ultimo la settimana scorsa nei Monti Sibillini, la lupa Selana, era addirittura provvista di collare e studiata dai ricercatori). In questo contesto è giustificata la riapertura della caccia al lupo, spalleggiata da cacciatori e settori del mondo agricolo? Quali effetti sortirà? E cosa succede ai rapporti fra uomini e animali selvatici nei Paesi avanzati, visto che la provincia di Bolzano ha appena consentito di cacciare le specie protette anche a livello internazionale (marmotte comprese) nel suo territorio?
Non sembra ci siano prove documentate sull’efficacia degli abbattimenti, ma, se l’obiettivo è quello di arginare le predazioni degli animali addomesticati, l’effetto potrebbe essere addirittura opposto, aumentando i lupi vaganti a causa della scomposizione dei branchi. E certamente incrementerebbe il bracconaggio, in qualche modo giustificandolo, come se si trattasse ancora di una specie nociva (altrimenti perché acconsentire all’abbattimento «legalizzato»?). Sebbene la popolazione nazionale del lupo sia in ripresa, non esistono ancora dati scientificamente robusti sul raggiungimento di una condizione certamente favorevole sul lungo periodo. Ma, al di là dell’efficacia, la possibilità di uccidere una specie protetta con un così alto valore simbolico non sembra proprio un ottimo segnale neppure da un punto di vista culturale. 
In realtà la Direttiva Habitat da sempre ammette la deroga per la rimozione di specie protette, e infatti l’Italia ha già rimosso molti istrici, ma pone condizioni molto severe, che con la nuova direttiva non verrebbero rimosse. Finora nessuna Regione ha mai chiesto al ministero la deroga, anche se avrebbero potuto già farlo. Forse cinquanta lupi sembrano troppi, ma è una soglia molto sicura (5% del valore inferiore della stima). Perché nessuno si opponga poi alle uccisioni degli istrici (ma anche dei cinghiali) e per il lupo scattino, invece, reazioni estreme è forse strano: come se il lupo avesse maggior pregio. Ma è comprensibile, visto il suo elevato valore simbolico.
Ci sono altri sistemi? In prima approssimazione sì, la prevenzione, per esempio: la sorveglianza del pascolo, la presenza di buoni cani da guardiania di razza pastore abruzzese-maremmano, le recinzioni fisse e mobili elettrificate che fungono da deterrente senza intaccare la popolazione dei lupi. Metodi accessibili anche grazie ai fondi europei. Nella stragrande maggioranza la combinazione di questi strumenti riduce notevolmente il rischio.
Ma da un punto di vista culturale è, purtroppo, sempre la stessa storia: si lotta per anni per restituire un minimo di naturalità a territori già compromessi e, appena si ottengono risultati, ecco che saltano fuori interessi, vecchie paure e un’apparente impossibilità di convivenza di fondo. Nella bandiera della California e nello stemma di Berlino appaiono gli orsi, ma nessun orso si aggira più da anni in California, e quelli che compaiono in Germania vengono uccisi appena avvistati. Speriamo che i lupi nostrani abbiano una sorte migliore.