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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Ecco chi sono i dieci candidati all’Oscar della scuola

Il mondo salvato dai maestri. E dai loro alunni. Sono i dieci i migliori professori sul pianeta. Insegnano tra gli slum di Nairobi, nei quartieri a luci rosse di Mumbai, sotto le tende dei campi profughi in Pakistan e in Palestina. Ma anche nelle aule super tecnologiche americane tra droni e stampanti 3D. Sono accomunati dalla passione per la cultura. E da un obiettivo: dare ai giovani gli strumenti per cambiare il loro futuro, le loro vite.
Sono professori che hanno sfidato e superato ottomila candidati dei cinque continenti alla seconda edizione del “premio Nobel” per l’insegnamento bandito dalla Varkey Foundation per migliorare gli standard educativi. L’organizzazione internazionale no profit creata da Sunny Varkey, figlio di insegnanti indiani emigrati negli Emirati Arabi, consegnerà il premio il 13 marzo a Dubai: un milione di dollari da spendere in progetti scolastici sarà assegnato al docente che avrà dato «uno straordinario contributo alla professione». Senza dimenticare chi, come Barbara Riccardi, unica italiana tra i 50 finalisti, docente nella periferia romana a Spinaceto, porterà al global forum la sua esperienza di insegnante di frontiera capace di coinvolgere nell’educazione dei bambini tutto il quartiere con i nonni e i nipoti a coltivare gli orti e i genitori a costruire biblioteche.
Scelti da una giuria che ha visto tra i partecipanti Bill Clinton e Kevin Spacey, presentati dallo scienziato Stephen Hawking, i finalisti hanno storie, metodi ed esperienze profondamente diverse. A unirli è la passione per l’insegnamento, la convinzione che il sapere può cambiare la vita delle persone. Tra loro tre donne da anni in prima linea in territori difficili, di guerra, tra violenza e tensioni sociali, che hanno usato inventiva, empatia e forza di volontà dove tecnologia e fondi erano inesistenti.
È infatti segnata da polvere, sabbia e tenacia la storia di Aqeela Asifi. Fuggita all’arrivo dei talebani dall’Afghanistan dove insegnava, ha lavorato per vent’anni nel campo profughi di Kot Chandana in Pakistan. Non c’erano scuole in tutta la regione quando è arrivata, e cosi ha cominciato lei, da sola, a scrivere di notte i libri di testo usando i suoi ricordi di insegnante, pezzi di stoffa come quaderni e la terra come lavagna. Qui hanno disegnato le prime parole e i primi numeri i suoi alunni, e soprattutto le ragazze arrivate in quell’aula sotto le tende solo grazie alla sua costanza, alla sua capacità di convincere famiglie tradizionali che l’educazione per le donne non era peccato. Ora in quel campo ci sono nove scuole e 1500 studenti di cui novecento femmine. Salvate da un destino di spose bambine, visto che, ha raccontato Aqeela, più si diffonde l’educazione tra le donne, più diminuisce il numero dei matrimoni precoci.
Sono soprattutto bambine anche le alunne di Robin Chaurasiya, ex militare dell’esercito americano che ha aiutato a cambiare le regole militari dopo essere stata costretta ad andarsene per la sua omosessualità. Lasciata la divisa, ha fondato una ong in India, Kranti (rivoluzione in hindu), che si occupa delle ragazze tra i 12 e i 20 anni che vivono nel quartiere a luci rosse di Mumbai senza famiglia, fuori casta, figlie di prostitute, vittime della tratta a cui insegna con l’obiettivo di cambiare il loro destino e aiutare il rinnovamento sociale. Le giovani studiano musica e yoga, teatro e geografia, imparano a leggere, scrivere e organizzano workshop ai quali hanno partecipato oltre centomila persone.
Aiutare i bambini per cambiare il mondo. L’ha imparato sulla propria pelle Hanan al-Hroub, originaria del campo profughi di Deisha (Betlemme), quando il marito è stato ammazzato sotto gli occhi dei suoi figli. Dopo la tragedia i suoi ragazzi non riuscivano più a studiare, travolti dalla violenza, dall’aggressività. Così Hanan ha inventato nuovi metodi d’apprendimento basati sul gioco, che hanno permesso ai suoi figli di riprendere a studiare. Ora li insegna nelle scuole per diminuire tensione e violenza e aiutare la coabitazione. Tra gli uomini di domani, tra chi avrà nelle mani il futuro della terra.
«Ogni problema del nostro mondo ha la soluzione nelle passioni ancora segrete dei nostri studenti», dice infatti Michael Soskil, docente di scuole elementare americana i cui alunni, grazie alla tecnologia multimediale, si sono connessi con coetanei di settanta paesi, discutendo di problemi reali, decidendo di raccogliere fondi per dotare di filtri per l’acqua potabile la bidonville di Kibera in Kenya.
Perché si comincia così a cambiare il mondo, con l’educazione. E non importa se il mezzo è la musica per avvicinare i ragazzi alla letteratura, i video gratis su You-Tube per insegnare la matematica o una distesa di sabbia usata come lavagna. L’importante, dicono i dieci finalisti, è unire, connettere, cambiare. Così Joe Fatheree, nell’Illinois, ha insegnato ai ragazzi a produrre musica, cortometraggi e libri facendoli innamorare della letteratura grazie alla musica hip hop. Non dimenticando stampanti in 3D e i droni, i ragazzi hanno vinto diversi premi grazie al professore che unisce studio a possibilità di lavoro e ha creato un programma per incoraggiare gli studenti a sviluppare start up in 30 città. Mentre Richard Johnson ha lanciato in Australia il primo laboratorio scientifico per bambini e ora i suoi studenti usano la robotica.
L’inglese Colin Hegarty, convinto che non esistono i negati per la matematica, ha lanciato 1500 video on line per insegnare la materia agli studenti gratuitamente, mentre la collega finlandese Maarit Rossi, persuasa che lo studio dei numeri aiuti a comprendere il senso del mondo, la insegna attraverso la soluzione di problemi reali, divertendo.
Ayub Mohamud. insegnante di economia a Nairobi appassionato di innovazione, design e creatività, aiuta gli studenti per farli diventare imprenditori e la sua invenzione di creare tetti da rifiuti solidi è stata considerata capace di cambiare la vita di milioni di persone che vivono nei ghetti. Creatore di un network contro il terrorismo e la violenza, «spera di riuscire a fare diventare l’insegnamento una macchina per far crescere l’economia del Paese». Ma non c’è solo studio, matematica, economia. Ci sono anche libertà e immaginazione nelle ore passate in classe. Kazuya Takahashi, giapponese. incoraggia gli studenti ad essere creativi e indipendenti e usa i Lego per sviluppare e rafforzare la loro immaginazione. Perché anche lui pensa, come il suo collega americano Fartheree, che tra i suoi alunni «qualcuno riuscirà a trovare una cura per il cancro o una soluzione al riscaldamento globale. La loro abilità nel sognare, creare e sviluppare, ideare dà speranza per il futuro».