la Repubblica, 1 marzo 2016
Citando Marco Paolini, «l’Italia è un paese di montagna che crede di essere un paese di pianura»
Il saldo tra il dare e l’avere, dopo le piogge degli ultimi giorni, è positivo. Fiumi finalmente pieni, siccità che si allontana, inverno infine invernale. Dove i fossi e i canali sono curati, sorvegliati con sguardo quotidiano e non occasionale/emergenziale, i danni sono stati modesti. Gravi, ma non così catastrofici, solo dove il territorio è trascurato, e il regime delle acque un colabrodo. Se i meteorologi fossero meno mediatici e più scientifici, non avrebbero battezzato “Golia” una perturbazione notevole ma del tutto naturale in stagione; e anzi provvidenziale per il bilancio idrico. E non chiamerebbero “maltempo” il tempo che gronda acqua e vita, dopo un inverno di spaventosa aridità. Ripenso sempre, in giorni così, a Mario Rigoni Stern e alla sua irriducibile cultura dei boschi e dei monti, che sui giornali “cittadini” faceva l’effetto, quasi, della stravaganza letteraria, mentre era sostanza polemica, formidabile opposizione al conformismo degli urbanizzati che nel meteo vedevano solo la risposta alle loro esigenze da weekend. Penso anche a Marco Paolini: «L’Italia è un paese di montagna che crede di essere un paese di pianura». Scesi alla fabbrica, dimentichi della fame e dimentichi della pendenza (settanta per cento del territorio nazionale è montuoso). Passata la fame, potremmo magari rivedere noi stessi per ciò che siamo? Completi di campi, boschi, torrenti, fiumi, che di acqua avevano disperato bisogno? E non chiamarla Golia, la prossima piovuta, ma Prospero? O Benedetta?