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 2016  marzo 01 Martedì calendario

DiCaprio già a quattro anni sognava di fare l’attore

Tutti, proprio tutti, nel corso della cerimonia degli Oscar (o dietro le quinte) hanno parlato delle associazioni filantropiche delle quali fanno parte o che hanno fondato. Per l’integrazione delle minoranze, la salvaguardia della natura o di orfani, come di cani abbandonati e cavalli azzoppati e anziani senza dimora. Hollywood è parsa avere più ambizioni social umanitarie che non personali, cinematografiche o per il box office.
Con Leonardo DiCaprio in prima fila nell’enunciazione di lunga data della sua lotta per l’ambiente. Più significativa per l’attore che non l’essere premiato con la statuetta, sfuggitagli troppe volte, per la sua prova in The Revenant. Aveva 19 anni quando conquistò la sua prima nomination agli Oscar come attore non protagonista, nel 1993, per Buon compleanno Mr. Grape. Oggi ne ha 41, un Oscar vinto e una carriera sempre più interessante.
Sostenitore del Partito Democratico, attento a ogni possibilità di costruire un eco-resort, produttore coraggioso oltre che attore, era raggiante dietro le quinte. Ha ricordato, eccezionalmente loquace, di quando, tredicenne, andava a ogni possibile audizione portato in macchina da Est L.A., dove abitava e dove ha scelto ancora oggi di vivere («Perché è molto più multirazziale e autentica di Beverly Hills»).
Che cosa significa per lei essere un attore?
«È la mia vita. Ero ragazzino, andavo, vivendo a Est Hollywood, a vedere i cancelli della Paramount, degli studios… Mia madre e mio padre mi portavano ad audizioni ogni giorno, dopo la scuola».
Che cosa la spingeva al sogno di diventare un attore?
«La possibilità di poter raccontare (e recitare) storie al pubblico, alle persone del mondo. Era il mio sogno sin da quando avevo quattro anni. Da allora ho fatto molti “viaggi” nel cinema e quello che amo di più è il percorso con Iñárritu per la realizzazione, un pezzo di vita vissuta per me, di The Revenant».
Lei ha sempre dichiarato di essere affascinato quando legge un bel storytelling…
«È materia che dà ossigeno alla vita e la riproduce».
Che cosa le piace in particolare del suo sodalizio con Iñárritu, che fa seguito a quello con Scorsese?
«Alejandro, venendo dal Messico, è entrato nell’industria di Hollywood perseguendo le sue aspirazioni di regista e narratore. Rappresenta tutto ciò che l’industria del cinema è e ciò che potrebbe essere».
Come si sente stringendo finalmente la statuetta?
«Onorato. Tuttavia, questi Oscar non hanno significato per me conta solo la vittoria del nostro film…».
In che senso?
«Non ho parlato solo, come spesso accade alla gente di questo settore, di cinema. Su una piattaforma come quella che migliaia di persone nel mondo stavano guardando ho sottolineato la crisi esistenziale e ambientale che la nostra civiltà sta vivendo».
Come conta di essere sempre più coinvolto in tale impegno?
«Ho realizzato un documentario sui cambiamenti climatici e sono andato in Groenlandia, Cina e India per parlare alla gente di questi problemi. In vista delle prossime elezioni nel mio Paese, tale urgenza acquista molti significati. Se non affronti i problemi climatici significa che non credi alla scienza moderna e starai sempre dalla parte sbagliata della Storia».
Non ha esitato nell’accettare un film faticoso come The Revenant?
«No, perché affronta la profonda relazione di un uomo con la Natura. Abbiamo bisogno di votare per politici che non perseguono gli interessi di grandi corporation e sono capaci di lottare per popoli indigenti, per milioni di persone non privilegiate, per quelli che saranno i figli dei nostri figli e per tutte le persone oneste non ascoltate dai politici avidi di potere».
Gli Oscar erano il palcoscenico giusto?
«Sono così felice per la mia statuetta, ma… Per trovare la neve per The Revenant siamo andati nella punta più meridionale del nostro pianeta. Smettiamola di procrastinare l’impegno per l’ambiente. Non ho vissuto la serata dell’Oscar dando scontata la mia vittoria. Non voglio che si dia per scontato il nostro pianeta».