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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Il caso dei Rolex rubati ai calciatori del Napoli

Un vecchio sbirro la racconta così. Ogni giorno, a Napoli, c’è un “professionista delle paranze”, un predatore feroce e allenato che va a caccia di refurtiva a cinque zeri. E c’è qualche Rolex dai 15mila euro in su che gira in città: troppo spesso, allacciato al polso di un calciatore del Napoli. Sono gioielli che, a volte, tornano indietro. Redivivi. E poi magari spariscono di nuovo, sotto lo strappo di un altro scippo armato: perché tutto è possibile sulla giostra criminale dove anche calciatori e capitani d’industria, quelli che nei vicoli continuano a chiamare vip, sono destinati a salire da vittime, illudendosi di esserne immuni, pagandone prezzi più o meno scottanti.
L’ultimo colpo, sabato, è toccato a Lorenzo Insigne, il guaglione d’oro di Frattamaggiore, l’attaccante dell’hinterland rapinato in piena movida serale, nella città- bene. «Di fronte a noi c’era un uomo che ci puntava la pistola, molto agitato – racconta nella denuncia ai carabinieri Genny, sua moglie – E quello, mentre gli strappava il Rolex, ha riconosciuto Lorenzo e gli ha chiesto tutti i contanti che aveva addosso». Prego, accomodatevi, campioni amati odiati inseguiti, qualche volta braccati dall’occhio infallibile delle “paranze”.
Banditi che sanno riconoscere a tre metri se un Rolex è originale oppure no, che sanno squadrare quei campioni dalla testa ai piedi. Idoli dei quartieri e delle periferie. Ma anche terminali di passioni e pressioni: comprese quelle della camorra. Anche se per fortuna è lontano il tempo della vasca da bagno a forma di conchiglia in cui scivolò, in posa accanto ai boss dei Giuliano, Diego Armando Maradona: infliggendosi una “condanna” persino peggiore della sua dipendenza dalle droghe, dei suoi eccessi da star sul precipizio, degli errori commessi fuori dal San Paolo dove restava dio in terra. Frammenti di altro crimine aggrediscono, invece, i campioni di oggi. Molte rapine, e quei Rolex strappati con le calibro 9 puntate sul naso.
Bottini restituiti per mano ignota, o ritrovati «in una cassetta della posta» perché diventati ingombranti, come impronte digitali che incastrano. Orologi che si rimaterializzano: come avvenne sei anni fa al capitano con la cresta, Marek Hamsik. Un caso tutto napoletano, si direbbe. Il centrocampista subisce la rapina di un Daytona e dopo poco lo ritrova, in circostanze mai chiarite. Ma non è finita, perché quello stesso gioiello, oro bianco, valore 25mila euro, cinque anni dopo gli viene strappato di nuovo in un colpo che appare anomalo. Per due motivi: perché il raid avviene in mezzo a una serie sospetta di aggressioni analoghe, e perché i banditi lo colpiscono al naso col calcio della pistola. È un caso? All’epoca, dicembre 2013, un pentito dice di no. Addirittura indica quale gruppo ultrà sarebbe incaricato di «restituire la refurtiva tolta ai calciatori». Un pool di quattro magistrati indaga. «Non sono un caso tutti questi colpi», sostiene il collaboratore di giustizia Salvatore Russomagno. Le aggressioni per lui sono il modo con cui la zona grigia “preme” su quegli idoli. «Sono azioni punitive, servono a bastonare quei calciatori che giocano male, o non si presentano presso i circoli sportivi dove sono invitati. Oppure, che parlano contro la violenza negli stadi». Rivelazioni cui i pm Antonello Ardituro (oggi al Csm) e Stefano Capuano, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri, cercano riscontri in varie direzioni, senza trovarne. «Avevamo sentito la necessità di scandagliare quell’area di cerniera che sta tra le tifoserie e i rapporti indiretti con il mondo della società. Un’area che poteva esercitare in qualche modo pressione sui calciatori. C’è un mondo di segnali da decrittare, che sta sospeso tra gli spalti e i calciatori. A volte passano anche attraverso contestazioni inspiegabili, o un coro che non è giustificato dai fatti che accadono in campo». Con Insigne, siamo comunque a dieci colpi in otto anni. In media, poco più di uno a stagione.
E anche qualche altro si imbatte nei “ritrovamenti” misteriosi. Nell’estate del 2012, Maria de Soledad, moglie (ormai ex) dell’attaccante uruguaiano Edinson Cavani viene rapinata di un Piaget d’oro che vale 18mila euro, come altre sue colleghe non reagisce bene: qualche settimana dopo, come d’incanto, il prezioso orologio si materializza in un buco in fondo a una piazza di spaccio di doga, periferia ovest, Rione Traiano, in linea d’aria pochissimi metri dallo stadio San Paolo. Sono i carabinieri a trovarlo, durante perquisizioni di routine, in una cassetta della posta. Capita ancora. Come al centrocampista svizzero Valon Behrami: una volta scippato del Rolex, è l’unico a riconoscere in questura e poi al processo i suoi aggressori. E un giorno, qualcuno gli lancia in auto, dopo gli allenamenti a Castel Volturno, la refurtiva. «Era un Rolex personalizzato, riconoscibile, forse scottava», dice. Passano pochi mesi: e a Behrami rubano anche l’auto. Lui twitta: «Prima l’orologio, poi l’auto. Mi sono rotto».
Dannata città, giostra infinita. Come scrisse la compagna dell’attaccante argentino Ezequiel Lavezzi. Fu alleggerita del suo prezioso cronografo. E scrisse un tweet di fuoco: «Dopo dicono che in Argentina c’è insicurezza. Napoli città di merda. Mi hanno rubato l’orologio a mano armata!». Due anni dopo, appena arrivati a Parigi, il Pocho e la fidanzata trovano l’appartamento svaligiato. Ma nessuno si chiede come si dica paranza in francese.