La Stampa, 1 marzo 2016
È tempo che il Vaticano protegga i bambini. L’appello del produttore di Spotlight, il film sugli abusi sessuali commessi dai preti a Boston che ha vinto l’Oscar
Ritirando la statuetta dell’Academy, il produttore di Spotlight Michael Sugar si è rivolto direttamente alla Santa Sede: «Questo film ha dato voce ai sopravvissuti, e l’Oscar amplifica questa voce. Speriamo diventi un coro, capace di risuonare fino al Vaticano. Papa Francesco, è venuto il tempo di proteggere i bambini e restaurare la fede».
La vittoria a sorpresa del film dedicato agli abusi sessuali commessi dai preti a Boston, e la copertura offerta dall’allora cardinale Law, può apparire come un complotto di Hollywood pensato per colpire la Chiesa. Il Vaticano però era pronto, e da tempo ha scelto la linea di non contrastare questi attacchi, ma piuttosto ascoltarne le ragioni e cercare le soluzioni.
Lo scandalo degli abusi era esploso prima delle vicende raccontate da
Spotlight, e le prime denunce a cui la Chiesa aveva risposto compensando le vittime erano diventate pubbliche negli Anni Novanta in Texas. Poi l’emergenza era diventata nazionale. All’inizio il Vaticano aveva scelto un atteggiamento difensivo, anche per il sospetto di una speculazione politica che veniva da ambienti ostili.
Lo stesso Martin Baron, direttore del Boston Globe ai tempi dell’inchiesta su Law, nel film dice che essere ebreo poteva alimentare sospetti sulle sue motivazioni. Gli studi legali poi avevano cominciato la caccia alle vittime, per presentare cause milionarie a loro nome. La Santa Sede aveva risposto che aveva aggiornato da tempo le norme sugli abusi sessuali, controllava meglio l’accesso ai seminari, e la percentuale di sacerdoti pedofili era simile a quella dei civili colpiti dalla stessa malattia. A Silver Spring, vicino Washington, esisteva una struttura per ricoverarli e curarli. Le denunce di Spotlight, però, hanno evidenziato che non era stato fatto abbastanza, e organizzazioni come il Survivor’s Network of Those Abused by Priets denunciavano casi tipo quello del vescovo di Kansas City Robert Finn, rimasto in carica anche dopo la condanna penale del 2012 per non aver denunciato gli abusi commessi da padre Shawn Ratigan nella sua diocesi.
Con l’elezione di Francesco, il Vaticano ha accelerato le risposte già in corso. Il Papa ha creato la Commissione Pontificia per la Protezione dei Minori, affidandola proprio al nuovo arcivescovo di Boston, il frate cappuccino Sean O’Malley. Il 15 febbraio scorso, questa Commissione ha pubblicato una dichiarazione, per riaffermare il dovere della Chiesa di denunciare i pedofili: «I crimini e i peccati dell’abuso sessuale dei bambini non devono più essere tenuti segreti. I nostri obblighi davanti alla legge vanno certamente seguiti, ma anche oltre questi doveri civili, noi tutti abbiamo la responsabilità morale ed etica di denunciare i sospetti alle autorità che hanno l’incarico di proteggere la nostra società». Quindi O’Malley ha aggiunto che la Commissione, e le varie conferenze episcopali, hanno l’incarico di istruire i vescovi su questi doveri. Nel settembre del 2014, poi, il Vaticano ha avviato un’inchiesta su Finn, che ha portato alle sue dimissioni nell’aprile dell’anno scorso.
Quanto a Spotlight, era stata proprio la Radio Vaticana, diretta dal portavoce del Papa Federico Lombardi, a elogiare il film con una recensione dell’inviato Luca Pellegrini, quando era stato presentato alla mostra di Venezia: «Grazie all’unità Spotlight, il 6 gennaio del 2002, solennità dell’Epifania, uscì un numero storico del Boston Globe che in prima pagina scoperchiava l’orrore già in parte noto e troppo a lungo da molti taciuto, quello della pedofilia diffusa tra i sacerdoti cattolici della diocesi americana».
La strada da percorrere sarà ancora lunga e dolorosa, ma «la Chiesa, alzandosi da quelle macerie, ebbe il coraggio di mostrarsi nella sua nuda povertà, anelare alla trasparenza, denunciare i peccatori, chiedere perdono, e allontanare chi il peccato lo aveva permesso, pur conoscendolo».