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 2016  marzo 01 Martedì calendario

La riforma degli appalti così com’è non funziona

La riforma degli appalti a regime garantirà un mercato più efficiente e “pulito”. Ma è stato finora fortemente sottovalutato – non è la prima volta nella storia degli ultimi 25 anni – il rischio di riduzione della trasparenza e di paralisi del settore nella fase «transitoria» dal vecchio al nuovo regime.
La «transizione» fra il vecchio e il nuovo regime può creare molti danni. Le discontinuità entrano in vigore subito, ma molte norme e molti sistemi burocratici, informativi, selettivi del nuovo avranno bisogno di tempo per entrare pienamente in funzione. Il rischio di creare una terra di nessuno in cui, anziché avviarsi verso la terra promessa, tutto si paralizzi o, peggio, si favorisca chi “bara”, è molto alto. E anziché consentire un passaggio graduale fra il “vecchio” e il “nuovo” regime, semplicemente prolungando il vecchio finché il nuovo non sia pronto a entrare in azione concretamente, il testo all’esame del governo prevede un’articolata e fantasiosa varietà di soluzioni che rischia solo di creare confusione o di chiedere ad amministrazioni, imprese e professionisti lo sforzo inutile di cambiare due o tre regimi in un lasso di  tempo ridotto.
Facciamo alcuni esempi. Più volte questo giornale ha difeso gli attuali livelli di pubblicità dei bandi di gara che si articolano su siti telematici europei e nazionali, pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, pubblicazione sui quotidiani nazionali e locali. Intorno a questo sistema di obblighi di pubblicazione si incentra un sistema privato e imprenditoriale di provider che “raccolgono” questi bandi e li trasferiscono a prezzi accessibili agli operatori del mercato. La trasparenza è massima. E da parte nostra c’è la difesa orgogliosa di un lavoro di informazione unico (con la radiografia scattata ogni mese dall’Osservatorio bandi Cresme-Sole) che si regge su questa diffusione articolata di fonti.
La riforma prevede che a regime si crei un sito dell’Autorità anticorruzione che pubblicherà tutti i bandi. Non si discute la capacità dell’Anac di strutturarsi, ma i nuovi poteri e i fronti aperti per l’Autorità sono decine e richiedono risorse, competenze, tempi. Si aggiunga che finora i siti pubblici unici (come quello teoricamente già in funzione al ministero delle Infrastrutture con gli stessi scopi) non hanno mai garantito quella qualità informativa di cui gli operatori (o i provider privati) hanno bisogno. Garantire il funzionamento efficiente di questi sistemi informativi può richiedere molti mesi o anni e sarebbe necessario fino ad allora confermare tutti i livelli di pubblicità e di informazione attuale, a partire dai giornali cartacei e digitali, che hanno funzionato e favoriscono la trasparenza. Facciamo una riforma per aumentare la trasparenza e intanto la riduciamo nel periodo transitorio? Non ha alcun senso.
Facciamo un altro esempio. Finalmente si interviene sulla composizione delle commissioni giudicatrici che sono un fattore di grave distorsione e malaffare: nell’attuale sistema a regime ci sarà un Albo istituito presso l’Anac. Nel frattempo, anziché mantenere in vita le norme del vecchio regolamento generale, che possano fare da punto di riferimento per le amministrazioni, magari con il rinforzo delle pronunce Anac sulla materia, si opta per una generica formula secondo cui «fino all’adozione della disciplina Anac, la commissione continua a essere nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante».
Altro esempio: le società tra professionisti e le società di ingegneria. Sembra venir meno l’attuale legittimazione e anche in questo caso sarà l’Anac a decidere a regime quali debbano essere i requisiti perché queste società possano partecipare al mercato degli appalti. Nel frattempo, però, non si salva l’attuale normativa, masi lascia mano libera alle stazioni appaltanti che individueranno nei bandi di gara i requisiti «ovvero, nelle procedure senza bando, nell’invito».
Addirittura più paradossale il riferimento ai compensi per le prestazioni professionali. Saranno i ministri di Giustizia e delle Infrastrutture a individuarli, ma «fino all’adozione del decreto, continuano ad applicarsi le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente codice». Peccato che le «tariffe» non esistano più e che siamo già entrati nell’era dei «corrispettivi». Magari qui lo spirito è giusto e c’è solo un problema lessicale, che nasce dalla fretta e dalla confusione con cui molti aspetti del decreto sono stati montati insieme.
Servono altri esempi per dire che sarebbe stato meglio un criterio generale per il periodo transitorio, salvando le norme del regolamento in vigore quando servono ancora ed evitando soluzioni troppo fantasiose. Forse si è preferito l’effetto scenico di una abrogazione tout court del regolamento generale ma attenzione perché da scelte simili spesso sono nati periodi di paralisi del sistema. Le stesse bozze del decreto legislativo di riforma degli appalti hanno presentato in queste settimane soluzioni forse più ragionevoli.
Si può chiudere con un ultimo esempio. Un punto delicato del sistema sono le trattative private (o procedure negoziate), è noto. Troppe e senza criteri per selezionare le imprese, rischiano di cadere nell’arbitrio. Bisogna ancora dare atto che, grazie alla centralità dell’azione regolatoria dell’Anac, il decreto cambia regime e prevede criteri più trasparenti, con indagini di mercato, estrazione a sorteggio, rotazione degli incarichi, apertura alle Pmi. In modo che presso una certa amministrazione non prendano appalti sempre i soliti noti. Ma poi perché, fino all’adozione delle linee guida Anac, si lascia alla stessa stazioni appaltante «l’individuazione degli operatori economici tramite indagini di mercato»? Altri esempi di guasti che rischia di generare il periodo transitorio riguardano i subappalti, la disciplina delle categorie superspecialistiche, la fase esecutiva dei contratti e – massimo dei rischi – il sistema di qualificazione centrato sulle Soa che resta privo delle norme di riferimento per lo svolgimento della qualificazione.
L’Anac ha promesso di approvare in fretta – addirittura entro la stessa scadenza del 18 aprile che vale peril decreto legislativo – le linee guida essenziali per dare certezze al sistema. Non c’è da dubitare dell’efficienza della struttura guidata da Raffaele Cantone ma un periodo transitorio scritto meglio e più stabile (rispetto al passato) avrebbe consentito a tutti di fare meglio la propria parte e di distinguere ciò che è davvero prioritario e urgente da ciò che può aspettare qualche settimana in più perché comunque “coperto” dalle vecchie regole.