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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Tutti tornano a comprare oro

In tanti avevano previsto un anno difficile, complice l’assenza di forti spunti rialzisti. Ma nessuno aveva previsto un avvio d’anno così turbolento sui mercati finanziari tanto da premiare il bene rifugio per eccellenza, vale a dire l’oro, come migliore classe di investimento (+16% in due mesi). Anche perché le ragioni che vengono additate per provare a spiegare quanto visto erano sotto gli occhi di tutto da tempo.
Il rallentamento della crescita in Cina è un argomento che tiene banco dallo scorso agosto, da quando la banca centrale di Pechino ha svalutato a sorpresa lo yuan. Così come l’eccesso di offerta nel settore delle materie prime. Persino l’introduzione del bail-in (la nuova normativa europea che sposta l’asse del salvataggio degli istituti di credito in difficoltà dagli Stati ad azionisti, obbligazionisti e correntisti della banca) era ampiamente prevista, dato che stiamo parlando di una direttiva europea emanata diversi mesi prima. Eppure, pur in assenza di choc i mercati si sono comportati come se travolti da una crisi improvvisa. Piazza Affari ha chiuso le prime sette settimane dell’anno in territorio negativo arrivando a perdere il 26% (un filotto così negativo non si vedeva dalla crisi del 2011) per poi recuperare terreno nelle ultime due (insieme alle Borse europee) limando il passivo a -18% (-50 miliardi di dollari di valore). Si tratta in assoluto della peggiore performance globale, se si esclude il -23% (calcolato in euro) della Borsa di Shanghai alle prese con lo scoppio di una bolla finanziaria. In media i listini europei hanno perso il 9% nei primi due mesi dell’anno con Francoforte tra i peggiori (-12,3%) dopo Milano. Nel complesso le Borse globali hanno visto sfumare altrove capitali per 1.250 miliardi di dollari in due mesi.
Le azioni hanno mostrato una esagerata (e per certi versa inedita) correlazione con l’andamento del petrolio. Penalizzato dall’eccesso di offerta (vizio comune con le altre più importanti materie prime energetiche quotate in dollari) il greggio ha fatto le bizze arrivando a un minimo di 26 dollari al barile e avvicinando alla previsione di molte banche d’affari che non escludono un approdo a 20 dollari (le stesse che però un paio d’anni fa profetizzavano una quotazione a 200 dollari). Nelle ultime due settimane – sulle prospettive di un possibile accordo tra i Paesi produttori su un futuro calo della produzione – l’oro nero ha recuperato tanto del terreno perso. Così il Brent (la varietà del Mare del Nord) ha limitato i danni a -4,2% passando dai 37,59 dollari di gennaio ai 36 di ieri.
L’eroe del 2016 è al momento l’oro che da inizio anno ha messo a segno un rialzo del 16,23% da 1.061 dollari a 1.233, confermando che molti investitori hanno spostato i capitali dalle classi di investimento più rischiose (azioni, obbligazioni societarie ad elevati rendimenti, ecc.) verso i beni rifugio (si fa per dire considerato che l’oro nel 2011 ha sfiorato i 2.000 dollari l’oncia e da allora perde circa il 40%), come si conviene in un clima di avversione al rischio. La prova del nove è arrivata dal Bund. Il titolo tedesco a 10 anni è sceso ieri a quota 0,12% e ormai è vicinissimo al minimo storico (0,07%) toccato ad aprile 2015. Rientra tra i beni rifugia anche lo yen che si è rafforzato nei confronti del dollaro del 7,2% (o il dollaro si è indebolito del 6,12% sulla divisa giapponese) complicando la politica monetaria espansiva della Bank of Japan che non riesce a spingere l’inflazione nel Sol Levante nonostante stimoli ininterrotti dal 2013.
In questo primo, imprevedibile scorcio del bisestile 2016 è arrivata anche la doccia fredda del ritorno della deflazione nell’Eurozona (-0,2% a febbraio). Un altro elemento da inserire negli algoritmi che ormai governano oltre la metà degli scambi sui mercati nella nuova era della globalizzazione finanziaria. A questo punto i mercati si aspettano nuove misure della Bce, ulteriore droga monetaria. Va detto che fino ad ora – quando il quantitative easing della Bce compie un anno – gli effetti sull’inflazione non si sono visti. Anzi, le prospettive da qui a 5 anni – quindi al netto del calo delle materie prime registrato quest’anno – indicano un’inflazione nell’Eurozona a 1,36% nel 2021. Siamo lontanissimi dall’obiettivo del 2%.