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 2016  marzo 01 Martedì calendario

Virginia Raggi va alla guerra del Campidoglio e scopre il fuoco amico. Ma anche qualche sostegno inaspettato

Virginia Raggi, anni 37, avvocato civilista, neo-candidata sindaco di Roma per i Cinque stelle, è stata costretta ad imparare subito una delle lezioni più amare della politica italiana: occhio agli amici di cui, imprudentemente, ti fidavi. Insieme a una sorpresa: che invece dai nemici possono venire gli appoggi, e i consensi, persino inaspettati. E poi un altro insegnamento: che non si possono più fare le cose che, per leggerezza, si facevano prima. Lei credeva di aver impostato in modo smagliante la sua immagine pubblica, con un video che la riprendeva mentre guidava. Ma ora tutti protestano perché invece di guardare la strada, Virginia guardava dritta la telecamerina fissata sul cruscotto. Roba da multa salata. Roba che un sindaco non potrebbe permettersi. Roba che se succedeva un incidente, la carriera politica della neo-candidata finiva lì, lo sguardo sulla camera e non sulla strada.
Virginia Raggi è il volto nuovo che i romani stanno cominciando a conoscere. Dicono che Grillo ne sia entusiasta. Ma sono passate soltanto poche ore dall’ufficialità della candidatura che subito su di lei si è rovesciato il fuoco amico. La colpa: il suo praticantato da avvocato, all’età di 25 anni, nello studio legale di Cesare Previti insieme a Pieremilio Sammarco. Una fugace collaborazione professionale che al Fatto quotidiano, giornale non nemico dei 5 Stelle, è apparso come un crimine imprescrittibile. La scomunica è partita dalla penna di Marco Lillo, come se la Raggi, con quel suo praticantato, fosse stata contaminata per sempre, mischiata con il nemico. Lei ricorda ai suoi detrattori che l’attività dei praticanti negli studi legali è più vicina alla produzione di fotocopie che all’elaborazione di una linea politica. Ma niente, viene da un Movimento in cui queste sfumature non sono molto apprezzate e poi ha già imparato che per i puri c’è sempre uno più puro che ti epura. Forse la Raggi non aveva imparato che anche i pasdaran renziani che pure non sembrano fan dell’immacolatezza come i giustizialisti del Fatto quotidiano, soprattutto dopo aver incassato l’appoggio parlamentare di Verdini, vogliono fare di questa cosa sulla «galassia Previti» un cavallo di battaglia, un esercizio tardivo di character assassination. «Hanno paura», dice Virginia Raggi. E non ha tutti i torti. Hanno paura davvero di perdere il Campidoglio, dopo i disastri dell’èra Marino. Ma lei deve anche aver paura che questa storia della giovanile pratica forense, nei miasmi della lotta politica a Roma sia il tormentone che l’accompagnerà per tutta la campagna elettorale e, se vincente, anche oltre.
Poi però questa paura potrebbe essere resa più tenue dai borbottii segreti che attraversano il centrodestra romano, disperato per la sua sempre più accentuata marginalità. Ora che affiora persino qualche simpatia per Alfio Marchini nell’ancora sparuta pattuglia di opinione salviniana nella fu «Roma ladrona», l’astro di Virginia Raggi nello schieramento a lei avverso dovrebbe far riflettere sulla sempre più labile tenuta delle linee di demarcazione tra destra e sinistra nell’elettorato che non guarda più con antipatia assoluta ai Cinque Stelle. E certo in questo elettorato il tormentone sul praticantato dell’avvocato Virginia Raggi non dovrebbe procurare reazioni sdegnate come nel fronte giustizialista. Anzi, potrebbe alimentare una tentazione che già serpeggia, la percezione che l’unico vero, e potenzialmente vincente, antagonista al Pd, possa incarnarsi nell’avvocato Virginia Raggi. La quale, quando qualcuno eccepisce che forse non ha l’esperienza necessaria per guidare una città così disperatamente complicata come Roma, risponde con un disarmante: «Perché gli altri hanno dimostrato forse di averla?». Difficile darle torto, sul punto specifico. Ma gli spin doctor che le stanno accanto per questa campagna che si preannuncia dura e spietata le suggeriscono di non essere aggressiva, di non perdere la sua immagine di mitezza determinata ma allergica alle urla scomposte, e alle pose gladiatorie, della politica romana e romanizzata. Di guardarsi dalla sinistra, apparentemente amichevole, e di non disdegnare gli elettori di destra, che alla retorica dell’antipolitica sono da sempre molto sensibili. Un mestiere in cui Virginia Raggi dovrà impratichirsi. Un nuovo praticantato, stavolta.