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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

Claudio Descalzi spiega come l’Eni si difende dal crollo del greggio

Esami superati anche stavolta, nonostante il prezzo del barile che va a picco e un risultato netto che nel quarto trimestre dell’anno ha scontato un rosso monstre di circa 6,9 miliardi, esattamente tre volte la perdita netta di 2,3 miliardi di euro dell’analogo trimestre 2014. Colpa, e si sapeva, di un petrolio debolissimo, che ha eroso la redditività operativa e costretto il management a imponenti svalutazioni degli asset oil&gas (4,45 miliardi di euro), nonché ad allineare alle quotazioni correnti il valore delle scorte di greggio e di prodotti petroliferi.
Eppure venerdì 26 febbraio, all’uscita dei conti del quarto trimestre e del preconsuntivo 2015, la Borsa ha tributato al titolo Eni  un’accoglienza trionfale, con un rialzo di quasi il 6% che lo ha portato a sfiorare i 13 euro. Non solo. Le banche d’affari hanno reagito compatte confermando i giudizi Buy e con target price che arrivano fino a 18 euro. C’è perciò da credere all’amministratore delegato Claudio Descalzi quando dice che ormai il mercato per farsi un giudizio non guarda più, o non più soltanto alla generazione di utili, ma piuttosto ai successi produttivi ed esplorativi, alla struttura dei costi e alla capacità di risposta che una big oil è in grado di dimostrare in tempo di crisi.
Domanda.
Si aspettava un verdetto così da parte del mercato?
Risposta. Il verdetto è stato super positivo, se guardiamo alla reazione del titolo abbiamo avuto uno dei maggior rimbalzi mai seguiti all’annuncio dei nostri conti. Evidentemente il mercato ha apprezzato fra tanti quei numeri che meglio rappresentano la vera forza di Eni. La generazione di cassa operativa, per esempio, ha battuto largamente il consensus. Tutti si aspettavano che sarebbe diminuita in proporzione al calo del petrolio, e invece nell’intero esercizio 2015 abbiamo registrato un flusso di 12,2 miliardi, con un calo del 15% anno su anno, mentre il Brent ha perso quasi il 50%.
D. Leggendo i report degli analisti è evidente che i risultati produttivi hanno messo in secondo piano quelli finanziari.
R. I nostri su quel fronte sono dati eccezionali. La crescita produttiva è stata del 14% nel trimestre con un plateau di 1,88 milioni di barili al giorno, che è il dato più elevato dal 2010. Nell’anno questa crescita ha toccato il 10%, a 1,77 milioni di barili, il doppio del nostro target iniziale che era del 5% e che avevamo già elevato oltre il 7% in occasione dei conti dei nove mesi.
D.
Non pensa che un po’ di merito nel rialzo del titolo ce l’abbia avuto anche la conferma del dividendo a 80 centesimi? Quasi tutte le attese della vigilia erano concentrate lì.
R. No, non credo. Il mercato se lo aspettava e quindi il mantenimento della cedola era già incorporato nel consensus. A differenza di altri competitor, che hanno seguito il nostro esempio solo in questi giorni (si tratta di Repsol e Conoco Phillips, ndr), noi abbiamo detto per tempo che i dividendi precedenti non sarebbero stati più sostenibili in questa situazione di mercato, e un anno fa abbiamo annunciato il taglio da 1,12 euro a 80 centesimi. Senza ricorrere a escamotage come gli scrap dividend, perché offrire un misto di cash e azioni è come chiedere un prestito agli stessi azionisti e l’anno successivo il problema si ripresenta.
D. A che prezzo sosterrete questa cedola col petrolio che resta cosi debole?
R. Un dividendo di 80 centesimi sull’esercizio 2015 è perfettamente sostenibile per Eni, per questo abbiamo deciso di confermarlo. Abbiamo già approvato una serie di misure per il 2016 per reagire al trend ribassista del petrolio, che avranno l’effetto di ridurre lo spending del 20%. Gli investimenti tecnici in uno scenario di 50 dollari al barile saranno interamente coperti dal flusso di cassa operativo. Perciò ripeto, questo è un dividendo sostenibile con la cassa operativa e le cessioni già programmate.
D. Qualche analista si aspetta che mantenere la cedola vi obblighi a farne di nuove.
R. Le dismissioni sono quelle che abbiamo già previsto nel nostro piano strategico, funzionali alla concentrazione nel core business. Ci saranno cessioni di quote nei giacimenti che stiamo esplorando, ma anche questa è una strategia che il mercato già conosce e non è determinata dalle esigenze di cassa per sostenere il pagamento dei dividendi.
D. Il dividendo rimarrà su questi livelli nel 2016?
R. Non posso dare anticipazioni sulle cedole future. Il 18 marzo prossimo a Londra comunicheremo al mercato le nuove linee strategiche e di conseguenza anche quella che sarà la dividend policy per l’esercizio in corso e i successivi nell’arco di piano.
D. Oltre al flusso di cassa avete battuto il consensus anche sull’indebitamento finanziario.
R. Sì, quello sul debito è il miglior dato degli ultimi 10 anni. Siamo riusciti a ricondurre l’indebitamento intorno ai 12 miliardi di euro proprio nell’anno in cui il prezzo del petrolio si è praticamente dimezzato. Per maggior chiarezza, col barile a 118 euro Eni  aveva un indebitamento finanziario netto di 19,4 miliardi di euro, col barile a 99 dollari era di 13,7 miliardi di euro. Nel 2015, col Brent che ha quotato in media a 53 dollari, il nostro debito ammonta pro-forma a 11,7 miliardi.
D. Il merito però è soprattutto del deconsolidamento di Saipem.
R. Certo, è quasi interamente di Saipem. Ma ci va riconosciuto di essere riusciti a condurre in porto un’operazione come la cessione di Saipem  in un momento di mercato così difficile come questo. Ora la nostra strategia è ancora più chiara e in più abbiamo abbattuto anche il rapporto tra patrimonio e indebitamento finanziario netto. Calcolando pro-forma gli effetti della cessione di Saipem  al 31 dicembre scorso, si ottiene una riduzione del leverage di ben 9 punti a 0,22.
D. Cosa vorrebbe dire agli azionisti, soprattutto ai piccoli risparmiatori, disorientati da questo tracollo del greggio?
R. Direi loro che Eni  è un ottimo investimento, anche in un contesto che vede il barile così debole. Il nostro è un business ben visibile, si capisce cosa facciamo perché ci stiamo ormai concentrando sulle attività di esplorazione e produzione con risultati record. Con l’attuale struttura Eni  è in grado di reagire ai mutamenti del mercato mese per mese, ha dei tempi di reazione rapidissimi. Le linee guida sono quelle della mia prima strategy presentation a Londra nel 2014. Questa visibilità del business rassicura molto gli investitori, soprattutto quelli anglosassoni. Eni  è una oil company che può resistere anche ai contraccolpi di un petrolio così basso. Non abbiamo bisogno di fare acquisizioni. Abbiamo costi operativi tra i più bassi del mercato e questo vuol dire non solo che ora non rimarremo travolti dal mini barile, ma soprattutto che appena le quotazioni del greggio risaliranno, noi ce ne avvantaggeremo in misura maggiore rispetto ai nostri competitor. Nell’anno in corso, inoltre, i costi operativi sono previsti in riduzione dell’11% rispetto al 2015.
D. Di quanto siete riusciti ad abbattere i costi operativi?
R. Abbiamo un break-even tecnico che ormai è sceso a 20 dollari, tra i più bassi in assoluto nella media del nostro settore. Questo è un premio anche alla scelta di aver puntato su giacimenti convenzionali. Negli ultimi 8 anni abbiamo realizzato delle scoperte importantissime, tra le più recenti c’è Zohr, in Egitto, che oltre ad essere un giacimento super giant risponde in pieno a questa esigenza di bassi costi di produzione. Nel 2015 sono state accertate 1,4 miliardi di boe di nuove risorse rispetto a un target di 500 milioni di boe al costo unitario di 70 centesimi di dollaro. Per dare un riferimento, la media del settore va dai 4 agli 8 dollari a barile. In questo modo riusciamo ad abbattere il break-even vero e proprio, e potremo aumentare i margini in modo esponenziale quando le quotazioni del petrolio risaliranno.