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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

Quando vincere l’Oscar rovina la carriera

Domani, con la solita sfarzosa, eccitante e un tantino pacchiana cerimonia, verranno consegnate le mitiche statuette che qualunque persona di cinema sogna di poter un giorno alzare al cielo sorridendo o piangendo. “And the Oscar goes to…”. Praticamente tutti gli attori, registi, sceneggiatori, scenografi, costumisti della storia del cinema hanno sognato o sognano di sentire il loro nome dopo la frase di rito. Eppure non manca chi maledice quel giorno ed è proprio a causa loro che l’Oscar si è talvolta guadagnato una reputazione simile a quella che ha a lungo accompagnato la tomba del faraone Tutankhamon. Bastava sfiorarla, avvicinarvisi o semplicemente desiderare di trovarla per essere colpiti da ogni genere di sventura.
Tra quelli che in questi giorni attendono con ansia e con un pizzico di paura il verdetto che il maestro di cerimonie annuncerà al Dolby Theater, c’è senz’altro Leonardo DiCaprio che spera di essere premiato come miglior attore protagonista per il film The Revenant. Su Facebook l’attore ha già invitato i suoi fan a festeggiare in luoghi emblematici quali Plaza Colon a Madrid. Ma tra i suoi ammiratori ci sono anche quelli che si augurano che DiCaprio non vinca, non perché non lo meriti, ma perché temono appunto che possa segnare la fine della sua carriera.
Non sarebbe né il primo né l’ultimo grande del cinema ad affrontare anticipatamente il viale del tramonto dopo aver stretto tra le mani la stauetta dell’Academy Award. L’Oscar è una mela avvelenata che non tutti riescono a digerire e la lista dei caduti annovera decine di nomi. Domenica toccherà a Leonardo DiCaprio azzannare le mela?
“Se qualcuno dopo aver vinto l’Oscar ti dice che ora avrà la libertà di scegliere solo film di successo, sta sicuramente mentendo”, assicura Halle Berry, prima afroamericana a fregiarsi del prestigioso riconoscimento come miglior attrice con il film Monster’s Ball – L’ombra della vita. La venerata sex symbol dell’inizio di questo secolo (abbiamo ancora negli occhi il suo corpo statuario mentre, da Bond-girl che fa il verso a Ursula Andress, esce dal mare nel film La Morte può attendere) dopo quella magica notte vide il vascello della sua carriera infrangersi ingloriosamente contro gli scogli del disastroso (non solo per il botteghino) Catwoman, un fiasco da antologia. Da allora silenzio… o quasi.
Analoga disavventura capitò a Kim Basinger (Oscar per L.A. Confidential), a Catherine Zeta-Jones (Chicago) e a Gwyneth Paltrow (Shakespeare in love) che non sono più riuscite a girare un film di successo. Altre come Cher optarono per una sorta di anticipato prepensionamento. Dopo l’Oscar per Stregata dalla luna, Cher ha girato la miseria di cinque film in 30 anni. Altre ancora sembrano dipendere da un solo personaggio o dalla avvenenza fisica. È il caso di Renée Zellweger che tenterà di tornare sulla cresta dell’onda interpretando per l’ennesima volta il ruolo di Bridget Jones, la “sfigata” più amata dalle trentenni single di tutto il mondo, o di Hilary Swank che, dopo il secondo Oscar con Million dollar baby di Clint Eastwood, è riuscita a far parlare di sé solamente per la conturbante apparizione nella serie The Office.
E per fortuna che c’è la televisione. Per molti divi dello schermo è diventata una sorta di riserva indiana o, se si vuol essere cattivi, di cimitero degli elefanti.
Basti pensare alla stessa Halle Berry, a Cuba Gooding jr. e – caso ancora più clamoroso – a Anna Paquin riemersa dal nulla nella serie True Blood dopo essere stata la più giovane vincitrice di un Oscar con il film Lezioni di piano di Jane Campion, anche lei colpita dalla stessa sorte. Dopo aver vinto l’Oscar nel 1993 per la migliore sceneggiatura originale (Lezioni di Piano appunto), non ha saputo ripetersi ai livelli cui ci aveva abituato. Anche Jane Campion deve dire grazie al vituperato piccolo schermo che, con Top of the Lake, l’ha riportata al successo.
Senza dubbio tra le immagini più singolari della serata degli Oscar c’è quella di Roberto Benigni che raggiunge il palcoscenico camminando sugli schienali delle poltrone e ondeggiando pericolosamente sulla testa dei colleghi e delle colleghe tra l’ilarità e gli applausi dei presenti. Era il 1999 e Roberto riceveva divertito la statuetta come miglior attore protagonista per La vita è bella. Dopo quel film è sparito dai radar e c’è voluto Woody Allen per riproporlo al grande pubblico nel suo To Rome with love. E fu sempre Woody Allen – che forse la considera una missione – a ripescare un altro dimenticato, Adrien Brody, al quale offrì il bel ruolo di Salvador Dalì in Midnight in Paris dopo che a 29 anni era stato il più giovane vincitore dell’Oscar come attore protagonista con Il pianista.
L’elenco delle vittime dell’Oscar è lunghissimo: John Avildsen, Bob Fosse, Francis Ford Coppola, Kevin Kostner e moltissimi altri.
Insomma quanto basta perché molti pur sperando di vincere, in cuor loro si augurano di perdere. Maledetta statuetta!

Finisce l’era di Renato Soru in Sardegna. Colui che è stato a lungo il dominatore del Pd nell’isola, ex-presidente della Regione, tuttora europarlamentare e segretario regionale pidiessino, si ritrova con un partito diviso e in ebollizione che non riesce più a governare.
Per esempio nel capoluogo regionale, Cagliari, è il caos. Alle prossime elezioni amministrative si ricandiderà a sindaco il sellino Massimo Zedda (a capo di una giunta Pd-Sel) e una parte del Pd ha deciso di appoggiarlo ma allargando la maggioranza al partito sardo d’azione e al Ncd.
Un’altra parte del partito però è contraria all’apertura a destra, tanto che l’ex-segretaria regionale Pd (nonché ex-consigliere regionale ed ex-sottosegretaria nel governo Renzi, dimissionaria in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta spese pazze in Regione), Francesca Barracciu, ha scritto su twitter: «Nulla da dire stavolta Renato Soru?»
Infatti quando lei vinse le primarie per le Regionali del 2014 Soru e il Pd si opposero a una grande alleanza da lei proposta cheribattezzarono “un’ammucchiata”. Tanto che lei dovette abbandonare a favore del secondo classificato, Francesco Pigliaru, che poi vinse le elezioni. Passato oltre un anno, adesso va di moda il partito della nazione e quindi le alleanze si possono allargare senza colpo ferire ma all’interno del Pd è scontro e ne viene travolto anche il deus-ex-machina Soru.
Il bello è che Sel, altrove in contestazione col Pd, a Cagliari non solo flirta col partito di Matteo Renzi ma accetta anche che gli alfaniani entrino nella coalizione. Tanta originale permissività in fatto di alleanze è confermata dal senatore sardo di Sel, Luciano Uras: «Il centrosinistra sardo coincide oggi con la coalizione di governo alla regione e mira a confermarsi per le prossime amministrative in ogni realtà locale chiamata al voto. Riteniamo che per evitare confusione sia opportuno definire criteri condivisi per eventuali allargamenti dell’alleanza e per la definizione di un comune atteggiamento etico-politico per la composizione delle liste».
Perché a Cagliari sì e a Roma e Milano no? Misteri della politica. Intanto Soru si è autosospeso: in direzione è andato sotto, lui non si è dimesso ma l’autosospensione sembra essere una foglia di fico, il suo destino è segnato.Anche il gruppo Pd in Regione è ai ferri corti con lui (col presidente Pigliaru i battibecchi sono all’ordine del giorno). Sono esplose divergenze sulle scelte urbanistiche, sui trasporti, sulle politiche territoriali, sul bilancio.
A trovarsi in estrema difficoltà è il capogruppo in Regione, Pietro Cocco, fedelissimo di Soru. Stretto tra l’incudine e il martello sarà presto sostituito ed è un ulteriore segnale dello sgretolamento del potere un tempo granitico di Soru. Il de profundis è stato celebrato a Oristano, dove alla direzione regionale si sono presentati, alleati, tre big sardi del partito, Antonello Cabras, Paolo Fadda e Silvio Lai, che hanno formalmente abbandonato Soru e ne hanno chiesto le dimissioni.
Intanto le dimissioni dalla segreteria regionale le hanno date loro. Insieme a Giuseppe Frau, Romina Mura, Dolores Lai, Maria Francesca Fantano. Soru è stato abbandonato al proprio destino.
Il fatto è che anche in Sardegna si è alla vigilia di un’importante tornata di elezioni amministrative e quindi il Pd rischia grosso se rimane in questo stato, con un segretario regionale autosospeso, le principali correnti interne che ne chiedono le dimissioni, la segreteria azzerata, le sezioni in subbuglio per via delle scelte sulle liste.
Tutti hanno invocato un intervento di Lorenzo Guerini, il vice-segretario responsabile dell’organizzazione, ma lui non si è fatto sentire. È arrivato invece il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Luca Lotti, che ha sbalordito tutti affermando, prima di ripartire (senza che nulla sia cambiato): «Ho trovato un partito in splendida forma e spero che la mantenga per i prossimi giorni fino ad arrivare alle elezioni che dovranno vederci vincitori anche a Cagliari. Non si può sempre litigare».
Il tutto con più della metà della segreteria regionale che ha confermato le dimissioni.
Un appello all’unità da parte di Soru è caduto nel vuoto. Nessuno vuole più fare accordi con l’ex-governatore. Lui ha concluso la direzione regionale dicendo: «Non lascerò naufragare questa esperienza accogliendo richieste che non condivido, oggi siete stati abbastanza chiari, prossimamente potrete esserlo ancora di più e mi direte che cosa vogliamo fare». Ovvero: «una nuova segreteria o la convocazione di un nuovo congresso per l’elezione di un nuovo segretario».
Dura la risposta di Giacomo Spissu, portavoce della corrente Cabras-Fadda: «Non ci sono più le condizioni di condivisione e di fiducia dei primi tempi, il segretario valuti se ci sono le condizioni per continuare a governare questo partito». Per i renziani anti-Soru parla Il consigliere regionale Gavino Manca: «Sono sicuro che tutta la parte del Pd che non sostiene Soru senta in ogni caso il dovere politico di mantenere il partito unito e dare una risposta».
Insomma, salvo colpi di scena finisce in Sardegna una stagione politica incominciata nel 2003 quando Soru fondò il movimento Progetto Sardegna, con l’appoggio del Pd e del centrosinistra. Vinse le elezioni regionali del 2004 contro il candidato di Forza Italia e divenne il leader del Pd in Sardegna.
Però gli sono poi mancate le doti del mediatore e il suo gruppo consiliare gli si rivoltò contro sulla legge urbanistica regionale. Lui allora si dimise (2008) e si ricandidò alla guida della Regione (2009) ma venne sconfitto dal candidato del Popolo delle libertà. Una strategia che qualcuno definì suicida. Lui comunque ha tenuto le redini del Pd e nel 2014 si è candidato, vittorioso, alle elezioni europee. Detiene il 18% di Tiscali, provider informatico da lui co-fondato. È stato anche per un breve periodo editore dell’Unità.
Adesso si sta concludendo la sua stagione politica. Aggiunge Spissu: «C’è tanta insoddisfazione per la conduzione del partito in questi mesi e la crescente difficoltà a condividere i processi politici. Le richieste di collegialità e di maggiore coinvolgimento sono state liquidate come prassi del passato e l’allargamento dei processi decisionali come tentativo di condizionamento e di restaurazione di pratiche correntizie. La grande responsabilità che il partito ha nel governo della Regione e della gran parte dei comuni sardi non consente il mantenimento di una situazione confusa e debole. Sono venute meno le condizioni che hanno portato all’elezione del segretario».
E Soru risponde, stizzito: «La politica non è un patronato per le nostre carriere individuali. Abbandoniamo gli stagni, per discutere le nostre visioni per la Sardegna e l’Italia di domani». Conclude il presidente del consiglio regionale, Gianfranco Ganau: «L’obiettivo è ora quello di trovare una soluzione per arrivare a una gestione che sia davvero unitaria, in cui tutti si sentano coinvolti nelle scelte che fa il partito. Finora non è stato così. C’è una parte che ha sostenuto Soru, che faceva parte della maggioranza fino a poco tempo fa, che pone un problema di metodo. Se dopo un anno la gestione unitaria non si è realizzata c’è qualcosa che non va».