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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Un videogioco per imparare a divenatare un dittatore

Un videogame ispirato all’Holodomor, l’Olocausto ucraino, la grande carestia causata dalle scelte sovietiche di pianificazione economica compiute in Ucraina dal 1929 e raccontate in Harvest of Sorrow («Raccolto di dolore») dello storico Robert Conquest. Ecco che cos’è il videogioco Soviet City. Il genere dei city builder – giochi basati sulla costruzione e gestione di città virtuali – è un’evoluzione in chiave distopica del più noto SimCity. Al posto della ricerca della felicità, il giocatore-governatore stavolta ha l’obiettivo di perseguire il piano economico quinquennale e la stabilità. Anche a costo di uccidere i propri concittadini.
Lo spiega, raggiunto da «la Lettura», l’ideatore e sviluppatore del videogioco, Pawel Slabiak, in arte Chicken in the Corn, 25 anni, di Varsavia. «A Soviet City – dichiara – i diritti umani non esistono». E il potere si basa sulla gestione della paura: qui la violenza serve a mantenere tutti sotto controllo e a realizzare gli obiettivi della pianificazione economica. «L’algoritmo del terrore? È semplice – continua —. Ha tre variabili: propaganda + violenza + scelte economiche, come inflazione e tasse».
La barra sullo schermo del videogame indica il livello di repressione raggiunto: se troppo blando, il soviet centrale avrà il potere di far decadere il governatore, ponendo fine alla partita; se troppo elevato, al contrario, causerà moti di ribellione diffusi. I cittadini si organizzeranno in cellule terroristiche e metteranno a ferro e fuoco la città. Fino al game over. «All’inizio della partita – spiega Slabiak – il giocatore ha 100 punti terrore, e può uccidere consumandone al massimo 3. Poi, però, può scegliere di acquistarne altri e riuscire così a uccidere sempre più ribelli». Non c’è, quindi, un limite preimpostato all’oppressione: «Non esiste nella realtà – continua lo sviluppatore – e non esiste, quindi, in Soviet City». Nel gioco la paura è considerata uno strumento di controllo e praticarla significa compiere una scelta politica: decidere che tipo di leader essere e comportarsi di conseguenza. Un’alternativa al terrore, infatti, ci sarebbe: «Quando giochi puoi optare per l’indulgenza e scegliere di pagare i ribelli», racconta Pawel. Ma attenzione: finanziarli significa prendersi un rischio, non conoscere la loro reazione e mettere a repentaglio risorse e denari del soviet.
Non solo paura e piani quinquennali, però. L’obiettivo finale di Soviet City non è la sola stabilità economica. Il governatore di ogni città, infatti, ha l’opportunità di contribuire ai fasti del soviet riuscendo, grazie al consolidamento della propria città, a lanciare un razzo sul sole, in una sorta di delirio cosmico. «È un progetto stupido, lo so. Ma lo è come tanti altri. In fondo non è più assurdo, per esempio, della campagna per lo sterminio dei passeri in Cina» che, condotta dai contadini, era stata voluta da Mao, perché gli uccelli, nutrendosi di cereali, venivano considerati un flagello da eliminare. «Quello che voglio davvero – prosegue Slabiak – è mostrare a chi gioca come funziona un sistema di governo fondato sul terrore».
Soviet City, insomma, è crudo. Ma, come ha sottolineato il settimanale britannico «New Scientist», al netto della violenza – tipica, inoltre, di molti videogame – mostra una dinamica sottesa a ogni forma di gestione del potere. Il gioco contrappone infatti controllo e ribellione, due forze che, scontrandosi, possono condurre alla stabilità politica. Il governo, in fin dei conti, funziona così: è scontro e compromesso tra tensioni diverse. In SimCity sono semplicemente più accettabili, e il contrasto riguarda, per esempio, la scelta di investire in una zona industriale, in un parco o in una scuola. Qui l’ambientazione induce invece a valutazioni drastiche e a decisioni cruente, ma il meccanismo non cambia. Quello che conta è la strategia. E l’estetica, che in Soviet City ha riferimenti molto chiari: «Spesso gli sviluppatori di giochi sono affascinati da draghi e segrete oppure da navicelle spaziali e dalla fantascienza. Per me ora è il momento di qualcosa di diverso», spiega Slabiak.

E anche se l’autore sottolinea come il suo non sia un gioco storico – «Soviet City è ambientata in un futuro alternativo e la città potrebbe trovarsi in un qualsiasi punto del pianeta, vicino a Mosca o nei pressi di Parigi» – i riferimenti culturali sono chiari. Intanto, per decidere quali funzioni attribuire al giocatore (stampare moneta, governare l’inflazione, uccidere o scendere a patti con i ribelli) Slabiak ha deciso di approfondire lo scenario, intervistando persone, visitando San Pietroburgo e documentandosi su testi di architettura sovietica. Soprattutto, ha scelto due muse ispiratrici: El Lissitzky – architetto, fotografico e artista russo, autore di manifesti di propaganda sovietica – per l’impianto grafico e Dmitry Glukhovsky per lo stile e l’approccio narrativo. Glukhovsky è l’autore di Metro 2033, romanzo distopico e postatomico ambientato nella metropolitana di Mosca, nato come progetto interattivo online e diventato poi un testo stampato e uno sparatutto per Xbox; inoltre ha pubblicato la raccolta di storie The Russian Anti-Popular Tales, in cui la Russia odierna è descritta come madre di paradossi e assurdità. «Per me – spiega Slabiak – il libro più utile».

Ancora prima di uscire – il gioco sarà disponibile per pc e Linux sulla piattaforma Steam nei prossimi mesi – Soviet City ha suscitato qualche polemica: secondo alcuni utenti, per esempio, sarebbe frutto di propaganda filo-americana. E parecchie lodi. Una su tutte, quella di David Rudin, esperto di videogame, sul sito «Kill Screen»: Soviet City svela l’arcano dei city builder. I giochi basati sulla pianificazione urbana, infatti, poiché non prevedono nessun processo di coinvolgimento dei cittadini virtuali, non sarebbero altro che benevole dittature. Stavolta, invece, si va all’osso della questione: scompare la generosità, si mette a nudo la natura non democratica della pianificazione. E, in questo caso, si gioca con la vita delle persone. Proprio come negli altri videogiochi. Un esempio? Prison Architect, videogame di logistica delle carceri, descritto dagli sviluppatori come «un racconto di corruzione e miseria umana».
Soviet City, quindi, avrebbe i pregi dei city builder – mette alla prova l’abilità del giocatore e la sua capacità di progettazione – ma non solo. Riportando la città sovietica nell’attualità del giocatore, scrive Rudin, il gioco rifugge dal ruin porn, il feticismo per le architetture sovietiche in rovina; una tendenza diffusa in Occidente, secondo la «Los Angeles Review of Books», anche come metodo per celebrare i propri valori rispetto alla decadenza dell’ex Urss. Insomma, Soviet City è la città del terrore simulato. Dove gli umani non contano. Come in altri giochi, come nelle dittature reali.