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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Renzi che va berlinguerianamente a braccetto con Verdini

Ieri gli allievi della Scuola di formazione politica del Pd hanno avuto la fortuna di assistere alla lezione di morale di un nuovo maestro di etica pubblica: Matteo Renzi, che due anni fa strillava a Grillo: “Giù le mani da Berlinguer! Sciacquatevi la bocca!” e ora va berlinguerianamente a braccetto con Verdini. Quattro i punti-cardine della sua questione morale riveduta e corretta, o corrotta.
1) “Respingo l’assunto secondo cui avviso di garanzia equivale a dimissioni”. 2) Il senatore Pd Salvatore Margiotta, scampato alle manette nel 2008 grazie al solito voto impunitario del Parlamento, condannato in appello per corruzione e turbativa d’asta e ora “assolto” dalla Cassazione con l’annullamento senza rinvio, “rientra nel partito fin da domani”. 3) “Noi, se ci sono le prove e i documenti e se manca il fumus persecutionis, i nostri li mandiamo in carcere. Ma non accettate mai la deriva della stampa e dell’opinione pubblica che confonde la giustizia col giustizialismo”. 4) “Se saremo dalla parte del giustizialismo, avrà perso l’Italia e la Costituzione”. Già è curioso che si appelli alla Costituzione chi la sta smontando pezzo per pezzo. Ma è pure inquietante che non la conosca. Strano, per un laureato in Legge: l’unica spiegazione è che, all’insaputa dei più, abbia battuto la testa e si sia scordato tutto. Anche quello che diceva lui stesso.
1) Nessuno sostiene l’automatismo avviso di garanzia-dimissioni. Dipende da cosa c’è scritto, nell’avviso. Se ci sono sospetti da verificare, si attende che lo faccia la magistratura. Se ci sono fatti documentati che rendono imbarazzante o incompatibile la permanenza di un politico o di un pubblico amministratore, lo si fa dimettere. Fu lo stesso Renzi, sindaco di Firenze in piena scalata al Pd e al governo, a teorizzarlo nell’estate 2013. Quando si scoprì che Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia di Letta, era intervenuta per far scarcerare la figlia dell’amico Ligresti, Renzi fu più giustizialista dei giustizialisti. Non attese neppure che fosse indagata per dichiarare: “Non è vero che bisogna aspettare un avviso di garanzia per dimettersi… Il nuovo Pd non difenderà più casi di questo genere… Se fossi stato segretario, avrei detto di votare la sfiducia”. E quando saltò fuori che il Viminale, retto (si fa per dire) da Alfano, aveva fatto sequestrare e deportare in Kazakhstan la moglie e la figlioletta di un dissidente, Renzi s’infischiò del fatto che il ministro non fosse indagato: “Se sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema. Se non sapeva è anche peggio”.
Poi invocò le dimissioni delle ministre Idem (inquisita per una microevasione fiscale su una palestra) e De Girolamo (indagata per i traffici sull’Asl). E, quando andò al governo, fece dimettere il sottosegretario Gentile (non indagato, ma sospettato di pressioni su un giornale), il ministro Lupi (non ancora indagato per i favori di Incalza al figlio) e la sottosegretaria Barracciu (imputata per la Rimborsopoli sarda). Anche il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, indagato per il Mose, dovette lasciare. Matteo Richetti, indagato (e poi prosciolto) per la Rimborsopoli emiliana, fu costretto a ritirare la candidatura a governatore. E il sindaco di Roma Ignazio Marino fu cacciato prim’ancora di essere indagato per le famose cene. Poi la fatale capocciata renziana: niente dimissioni per il plurimputato De Luca, per i sottosegretari De Filippo, Vicari e Castiglione, e ora per il ministro Alfano e il suo vice Bubbico, indagati per la cacciata del prefetto di Enna che osava fare il proprio dovere commissariando l’università-patacca Kore a Enna.
2) Prima di riaccogliere Margiotta nel Pd, è il caso di attendere le motivazioni della Cassazione. Che, non potendo cancellare le sentenze di merito, ma solo valutarne la legittimità, potrebbe confermare condotte moralmente riprovevoli, pur non ritenendole penalmente rilevanti per le mille scappatoie della giungla normativa. Il processo riguardava interferenze di politici lucani negli appalti petroliferi alla Total: prima di assolvere politicamente Margiotta, è meglio sapere se era davvero estraneo a quel groviglio di politica & affari.
3) La Costituzione non dà al Parlamento o al premier il potere di giudicare “le prove e i documenti” dei giudici per “mandare in carcere” i parlamentari. L’arresto, quando giunge alle Camere per l’autorizzazione, è già stato deliberato dal gip su richiesta della Procura. Il Parlamento può, in via eccezionale, negare il via libera solo per fumus persecutionis. Che non è, come intende Renzi, un’opinione nata dall’analisi di prove e documenti: è la certezza, suffragata da prove e documenti, di un complotto politico del pm e del gip per perseguitare politicamente l’eletto. Il che, per inciso, non è mai stato dimostrato in 68 anni di storia repubblicana. Se Renzi ha prove e documenti su politici perseguitati da giudici, li tiri fuori, faccia i nomi e attivi l’azione disciplinare con il Guardasigilli. Altrimenti stia zitto.
4) Il “giustizialismo” della “stampa” che chiede le dimissioni di Alfano (cioè del Fatto) non è contro la Costituzione, ma secondo l’art. 54 della Costituzione: “… I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…”. Lo diceva anche una fonte al di sopra di ogni sospetto: “Chi sbaglia va stangato… Solo con l’adempimento con onore e disciplina di tutti e ciascuno, partendo da chi ha incarichi di governo fino al cittadino comune, vero eroe della quotidianità, riusciremo a cambiare il Paese”. Era Renzi, addì 27.11.2014. Sono trascorsi 15 mesi. Il Paese è rimasto più o meno uguale. In compenso è cambiato lui.