Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Renzi ha rispettato finora le sue promesse? Andiamo a controllare punto per punto

La scorsa settimana il governo Renzi ha compiuto due anni e, come è tradizione in queste occasioni, in molti hanno fatto un bilancio del suo operato. Palazzo Chigi, ad esempio, ha celebrato l’evento pubblicando 24 slide in cui venivano elencati tutti i risultati positivi ottenuti dal febbraio del 2014 ad oggi. Uno dei più significativi, secondo Renzi, è stato riportare l’Italia alla crescita economica dopo tre anni di recessione: 0,8 per cento di aumento del Pil, secondo quanto scritto nelle sue slide.
Un altro risultato è stato creare 764 mila posti di lavoro a tempo indeterminato. In questi giorni, anche se non ne ha parlato nelle sue slide, Renzi ha celebrato anche l’aumento dei mutui, cresciuto, a suo dire, di più del 90 per cento soltanto nell’ultimo anno. E, infine, ha parlato di tagli alla spesa pubblica per un totale di 25 miliardi. Sono risultati che però, in alcuni casi, non convincono molto. Ad esempio, la crescita economica italiana nel 2015 è stata tra le più basse in Europa: non lo 0,8 per cento, come scrive Renzi, ma lo 0,6 – come certificato da Istat e Commissione Europea. Si tratta di meno della metà della crescita media dell’area euro, 1,3 per cento. Tra i grandi paesi europei, il PIL italiano è il meno dinamico: in Germania è cresciuto del 1,5 per cento, in Francia del 1 per cento, in Spagna del 2,3 per cento e nel Regno Unito addirittura del 2,6 per cento.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, Renzi a volte sembra parlare dei nuovi contratti a tempo indeterminato come se fossero nuovi posti di lavoro. Nel discorso all’assemblea del Pd, domenica 21 febbraio, Matteo ha persino suggerito un paragone tra il milione di posti di lavoro promessi da Silvio Berlusconi nel 1994 e i 764 mila nuovi contratti a tempo indeterminato creati nell’ultimo anno del suo governo. È sembrato proprio che il presidente del Consiglio volesse giocare sul fatto che gran parte degli italiani non sa che un nuovo contratto non equivale necessariamente a un nuovo posto di lavoro. Una persona, ad esempio, può firmare più di un contratto di lavoro in un anno, o può passare da un lavoro a tempo determinato ad uno a tempo indeterminato.
L’unico numero al quale ci si può affidare per sapere a quante persone l’economia del nostro Paese è in grado di dare un lavoro è il numero degli occupati diffuso dall’Istat, che, mese per mese, registra quante persone stanno effettivamente lavorando in Italia. Quando Renzi si insediò, nel febbraio del 2014, gli occupati erano 22 milioni 168 mila. Due anni dopo sono passati a 22 milioni 470 mila: un incremento di trecentomila unità, certamente positivo, ma molto inferiore ai 760 mila in un solo anno che a volte Renzi sembra voler suggerire.
Insomma: quando parla di contratti o posti di lavoro e quando spiega la crescita economica, Renzi cammina sul filo sottile che separa l’esagerazione dalla mezza verità. Ma su temi come l’aumento dei mutui, invece, è entrato a piedi pari nel territorio delle bufale.
Come chiunque sia stato in banca di recente può confermare, nel nostro Paese non è affatto diventato di colpo facilissimo sottoscrivere un mutuo. La Banca d’Italia, infatti, certifica che alla fine del 2014 in Italia le banche avevano erogato mutui per un totale di circa 358 miliardi. A novembre 2015 il dato era lievemente cresciuto: 359 miliardi. Insomma: la quantità di denaro prestato dalle banche è rimasta più o meno uguale.
E allora da dove arriva il mirabolante 97 per cento di aumento? Come ha scoperto Mario Seminerio, analista finanziario e uno dei più celebri blogger economici italiani, la causa è una comunicazione non troppo chiara fatta dall’Abi, l’associazione delle banche italiane. Quello che intendeva dire l’Abi, quando parlava di più 97 per cento dei mutui era che sono aumentati i nuovi mutui, non lo stock totale dei prestiti erogati dal sistema. In altre parole, nel corso del 2015, sono aumentati rispetto al 2014 i mutui estinti, calati di valore a causa del trascorrere del tempo o stralciati a causa dell’insolvenza del debitore. A fronte di questo calo, le banche italiane hanno erogato una quantità altrettanto in crescita di nuovi mutui, ma il totale del denaro prestato è rimasto stabile. Dei tagli alla spesa da 25 miliardi, infine, quasi nessuno sa bene cosa dire perché di una cifra non c’è traccia in alcun documento del bilancio pubblico.
L’operato del governo si può valutare anche guardando quello che aveva promesso di fare, oltre che misurando i risultati che ha concretamente ottenuto. Si tratta dell’approccio utilizzato dal sito di fact-checking www.pagellapolitica.it che è andato a indagare su che fine hanno fatto le promesse che Renzi fece nella conferenza stampa del 12 marzo 2014, tre settimane dopo aver ottenuto la fiducia dal Parlamento. Si tratta della conferenza stampa ribattezzata la «svolta buona», la prima in cui Renzi fece ampio uso delle slide – che da allora hanno caratterizzato il suo stile comunicativo. Pagella Politica ha analizzato le 22 promesse che Renzi snocciolò quella sera. Il risultato non è molto lusinghiero per il governo.
Su una serie di temi chiave, le promesse di Renzi hanno ricevuto il verdetto «mantenuto» oppure «promette bene», cioè il governo è sulla buona strada per portare a casa quello che aveva promesso. È il caso ad esempio della riforma del Senato che, assieme alla riforma del Titolo V e a quella che porterà all’abolizione delle province e del Cnel, è stata approvata dal Parlamento e sarà sottoposta a referendum confermativo il prossimo autunno.
Renzi è riuscito anche a mantenere la sua promessa di cambiare la legge elettorale, di investire nell’edilizia scolastica, di creare un’autorità anti-corruzione, di sbloccare il «piano casa», di introdurre il famoso «bonus da 80 euro» e un’altra serie di misure minori.
Per una serie di promesse cruciali, però, Renzi ha ottenuto il verdetto «non mantenuto», ossia non è riuscito a portare a termine quello che aveva promesso. Ad esempio, nella prima slide presentata il 12 marzo era contenuta la più ambiziosa di tutte le promesse: «Una riforma al mese. Aprile: Pubblica amministrazione. Maggio: fisco. Giugno: giustizia». Come molti avevano sospettato, Renzi non è riuscito a rispettare i tempi strettissimi che si diede all’epoca. La riforma della pubblica amministrazione ha visto i principali decreti attuativi approvati soltanto a gennaio 2016, mentre le altre due sono ancora molto indietro nel loro percorso.
Un’altra promessa ambiziosa era quella che riguardava i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione. Renzi scrisse nella sua slide: «Sblocco immediato e totale del pagamento dei debiti PA, 68 miliardi entro luglio 2014». Di questa promessa, Pagella Politica scrive: «Secondo l’ultimo aggiornamento del Mef, che risale all’11 agosto 2015, dei 57 miliardi messi a disposizione ne sono stati erogati agli enti debitori 44,6 di cui 38,6 miliardi risultano effettivamente pagati. Quelli pagati da Renzi erano poco più di 15 miliardi».
Le aziende sono state colpite anche da un’altra promessa non mantenuta: quella della riduzione dell’Irap del 10 per cento a partire dal maggio 2014. In un primo momento la norma era stata introdotta, ma è stata eliminata pochi mesi dopo dalla Legge di Stabilità 2015. Furono introdotte altre norme a favore delle imprese, come ad esempio la possibilità di dedurre i costi per i dipendenti a tempo indeterminato dalla base imponibile Irap, ma questo non toglie che il governo sia stato costretto a rimangiarsi la parola. Renzi aveva anche promesso di «rimodulare» l’imposta sulle rendite finanziarie, facendo passare l’aliquota dal 20 al 26 per cento. Nonostante l’uso di un verbo piuttosto desueto, Renzi stava in sostanza promettendo di alzare le tasse sui risparmi degli italiani – quelli detenuti in forme diverse dai titoli di Stato. Pagella Politica assegna a questa promessa un verdetto di «Quasi mantenuta», visto che Renzi ha introdotto la «rimodulazione» al primo luglio 2014, invece che al primo maggio, come aveva promesso. Resta come minimo dubbio, però, se questa misura debba essere iscritta tra le più positive per l’economia tra quelle approvate dal governo.