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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Henry James, ritratto di un intellettuale cosmopolita

«Che lavoro fa tuo padre?», chiede un giorno un coetaneo a James adolescente che frequenta una costosa scuola privata di New York. Il ragazzo non sa cosa rispondere e al rientro a casa interroga il padre ottenendo questa risposta: «Se ti pongono ancora la domanda devi dire che il mio è un lavoro particolare perché mi occupo di libri e sono uno studioso». Quel “lavoro particolare”, abbastanza insolito nell’America dell’Ottocento, era stato reso possibile dalla fortuna economica toccata ai James, discendenti dell’irlandese William James emigrato nel 1789. Alla sua morte gli eredi dividono tra loro una somma favolosa per quei tempi: tre milioni e mezzo di dollari. E grazie alla eredità possono permettersi di sottrarsi alla tirannia del lavoro materiale e dedicarsi alla riflessione intellettuale. Henry James, scomparso un secolo fa, il 28 febbraio 1916, nasce il 15 aprile 1843, è il secondogenito. Prima di lui era nato William (futuro filosofo), poi ci sono altri due maschi (Garth Wilkinson e Robertson nel 1845 e 1846) e infine Alice nel 1848. La casa dei James è frequentata dagli intellettuali più noti e influenti d’America (Emerson, ad esempio) e da illustri ospiti stranieri, è piena di libri, giornali, riviste.
COSMOPOLITAIntellettuale cosmopolita, profondamente americano ma innamorato dell’Europa e della sua cultura, Henry James, al pari di Stendhal, giudicava il romanzo «uno specchio a zonzo per le stanze e per le strade». Il suo obiettivo era in primo luogo chiarire paure, speranze e desideri della borghesia statunitense di fine Ottocento costretta a fare i conti con un fastidioso senso di inferiorità culturale rispetto al vecchio continente e, dunque, innamorata dei lunghi soggiorni a Londra, a Parigi o a Roma. Lo stesso James – che a partire dal 1875 e sino alla morte scelse di trascorrere gran parte del suo tempo nel Regno Unito – era assolutamente certo che «in Europa la razza umana è rappresentata meglio che in qualsiasi altro posto».
PALCOSCENICOA chi, come lui, desiderava raccontare “storie morali contemporanee” l’Italia, l’Inghilterra o la Francia costituivano precisa nei Taccuini, il palcoscenico ideale per dar conto con la maggiore precisione possibile delle contraddizioni dell’epoca. Molte trame dei suoi romanzi o racconti nascevano da storie che ascoltava nei salotti. Lo dimostrano proprio iTaccuini, dove annotava le situazioni insolite o curiose, gli scambi di battute, gli spezzoni di dialogo, gli spunti che le serate gli offrivano. A suo giudizio, del resto, il letterato è «un uomo per cui nulla va sprecato». Assiduo frequentatore di riunioni mondane, “rubava” spesso aneddoti ascoltando le conversazioni dei suoi interlocutori. Ogni testo nasce così dalla sintesi di decine di”germi”, come definisce gli spunti offertigli dalle amatissime chiacchierate nei salotti. «Spesso – precisa – accanto a me qualcuno fa delle allusioni che riconosco come altrettanti”germi”. Il germe per me è sempre il punto di partenza di un libro. Poi il mio compito è trasformare i germi in arte pura, scrivendo meglio che posso». 
GOSSIPÈ agevole immaginare che anche i suoi capolavori come Ritratto di signoraLa musa tragicaLa coppa d’oro o i celebri raccontiDaisy Miller, ambientato a Roma, e Il giro di vitesiano nati da chiacchiere ascoltate mentre piegava il tovagliolo, fumava un sigaro o sorseggiava in compagnia un bicchiere di porto. Tutte vicende all’insegna del cosmopolitismo e dell’ipocrisia sociale, del contrasto tra arte e vita, composte per riassume in maniera perfetta vizi privati e pubbliche virtù di una upper class angloamericana attenta al rispetto delle regole del decoro e nello stesso tempo terrorizzata dalla forza di pulsioni radicate nella sfera dell’inconscio.
LA DELUSIONEIl mondo a lui noto termina all’improvviso nell’agosto 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale. Ecco la sua reazione in una lettera: «Il tuffo della civiltà in questo abisso di sangue e tenebre è un fatto che contraddice talmente quella lunga età durante la quale abbiamo creduto che il mondo andasse gradualmente migliorando al punto che esprimere i nostri sentimenti in proposito è impossibile oltre che intollerabile». Per solidarietà con i britannici chiede e ottiene la cittadinanza inglese poi nel dicembre 1915 un ictus lo paralizza. Muore il 28 febbraio 1916 assistito dalla vedova del fratello William e da un nipote che così riassume le sue impressioni nel momento della morte: «Tutto ci è sembrato futile dinanzi all’esempio di tanta serenità di spirito». Nelle storie della letteratura viene ancora celebrato come un maestro dello stile, l’uomo che aprì la strada alle tecniche narrative novecentesche. «Maestro della sfumatura e dello scrupolo», lo definirà in seguito in un’ode in suo onore il poeta Auden, che fece il percorso inverso.