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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Duemila anni di storia dei ricchi, da Crasso a Slim

Abbeveriamoci alla “Storia dei ricchi” di John Kampfner e impariamo due cose, all’apparenza contraddittorie. La prima: i ricchi di oggi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, tanto che negli Stati Uniti i primi 300mila americani hanno accumulato un reddito pari all’incirca a quello degli ultimi 150 milioni. Morale: le ineguaglianze crescono. La seconda: almeno a giudicare dalle vite scelte da Kampfner (parecchie le omissioni dichiarate, di super-ricchi è lastricato il Viale della Storia) è che in ogni epoca ci sono stati self-made man: poveri in canna che grazie a intelligenza e spregiudicatezza (o semplice intraprendenza) si sono coperti d’oro e han fatto la fortuna di famigli e familiari. È per lo più nel mondo anglosassone che il denaro non puzza. Profumo di dollari. Il ricco è benvisto, specie se come Zio Paperone ha accumulato da zero i suoi dobloni d’oro, uno sull’altro. Per dirla con la scrittrice e filosofa Ayn Rand, citata da Kampfner: «Fuggi a gambe levate da chiunque ti dica che il denaro è male. Quella frase è la campanella da lebbroso che annuncia la presenza di uno sciacallo».
Il punto di partenza non è Creso ma Crasso, triumviro e generale romano prototipo del ricco che non si accontenta ma usa il patrimonio per entrare nella gloria (fa però una brutta fine: ucciso dall’oro fuso versatogli in gola dai Parti che lo hanno battuto). All’opposto di Crasso il messicano Carlos Slim, magnate delle telecomunicazioni, più volte uomo più ricco del mondo oggi “soltanto” quarto dopo Bill Gates fondatore di Microsoft, Amancio Ortega spagnolo di Zara, e il finanziere Warren Buffet. Dice l’avveduto Slim: «Quando vivi per l’opinione altrui sei morto. Non voglio vivere pensando a come sarò ricordato».
I PROTAGONISTI
Il viaggio di Kampfner parte da Crasso e va al normanno Alano il Rosso, seguace di Guglielmo il Conquistatore nell’XI secolo e emblema, come cinque secoli dopo il conquistador Pizzarro, del latifondista di terre e risorse strappate con la spada. Lo stesso vale per il motore della Compagnia delle Indie Orientali, Robert Clive “d’India”, che teorizzò l’interdipendenza di armi e commercio: il secondo si conquista e difende con le prime e le prime si pagano con il secondo. Clive fu il Nababbo, da “nawab”, per antonomasia. Regale, invece, la ricchezza spropositata del faraone Akhelaton e del Re Sole, incarnazioni “divine” radicate nell’etimologia di ricco (celtico “rix”, latino “rex”, sanscrito “rajah”) che contiene l’idea di regalità o sovranità. Pochi sanno però che l’uomo più ricco della Storia fu probabilmente un africano, il decimo Re del Mali, oggi un Paese poverissimo: Mansa Musa, con un patrimonio nel ‘300 pari a 400 miliardi di dollari di oggi. Tutto l’oro del Mali era suo per diritto e non era come il petrolio, per raccoglierlo bastava scavare un po’ e dare di setaccio. Diversamente ricchi i primi banchieri: Cosimo de’ Medici che assomiglia al fumetto di Paperon de’ Paperoni e diceva che «quand’anche fosse possibile far denari con la bacchetta magica», lui avrebbe comunque fatto il banchiere. Insomma, banchieri si nasce. I proventi dei suoi prestiti servirono però a fare grande e bella Firenze e a dar lavoro ai migliori artisti dell’epoca.
C’è poi la ricchezza degli industriali alla Krupp, una dinastia, e quella degli americani che da umili origini diventano miliardari. Come Andrew Carnegie, campione dell’American Dream, figlio di un piccolo tessitore scozzese emigrato negli Stati Uniti, che diventato “l’uomo più ricco del mondo” continua a emozionarsi al ricordo del primo dividendo da 10 dollari guadagnato con 10 azioni della Adam Express. Accumulando dollari o rubli, petrodollari o marchi, ci affacciamo alle schiatte moderne di dittatori africani alla Mobutu, Congo, descritto da un ministro francese come “un caveau ambulante col berretto da leopardo”. Poi gli “sceicchi” di Dubai, Abu Dhabi e Qatar, costruttori di città verdi nel deserto, e la prima generazione di oligarchi russi alla Khodorovskij e Abramovic, beneficiati da Eltsin e spazzati via da Putin, quindi i nuovi miliardari cinesi, i lupi di Wall Street dalle stelle alle stalle ma sempre in sella, e i Geeks, i ragazzi d’oro della Silicon Valley, maghi informatici da Zuckerberg a Sergei Brin, da Steve Jobs a Larry Page. Il loro potere non è solo economico. Lo dimostra il braccio di ferro tra l’AD di Apple, Tim Cook, e l’FBI. «La vittoria dei super-ricchi nel Ventunesimo secolo – conclude Kampfner – è il prodotto di duemila anni di storia».