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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Ellade Bandini, il batterista che ha suonato con tutt’Italia (e che portava fortuna), da Mina a Guccini, da Conte a Jannacci

Quelli che hanno amato Francesco Guccini e Fabrizio De André sanno bene di chi parliamo. E tutti coloro che hanno acquistato dei dischi basta che vadano sul retro, novanta volte su cento troveranno il suo nome. Ellade Bandini, nato a Ferrara, con le bacchette e le spazzole in mano, è uno dei batteristi italiani che hanno fatto grande la musica d’autore. Andava per balere, poi nei night club, e finì a Milano, l’allora capitale della musica, a suonare dentro nei dischi, come direbbe Enzo Jannacci.Ellade Bandini è Mina di Ancora ancora ancora e L’importante è finire, è il Paolo Conte di Aguaplano, l’Edorardo Bennato di Uffa! Uffa! È tutto Guccini, dall’Isola non trovata in poi, e quattro anni di Carmen Villani.
Lo trovi nelle parole di Vinicio Capossela e in quelle di Angela Branduardi. È il De André del teatro Brancaccio, “il più bel concerto di sempre”. Di mestiere fa il jazzista, ma è andato oltre il metodo. Per non fare confusione, visto che tra le mani tiene mezzo secolo di carriera, dobbiamo partire dall’inizio, dalle nebbie dell’Emilia Romagna.
Un inciso corre d’obbligo. Lo confessiamo subito?
Si riferisce a Enzo Jannacci, immagino. Non lo consideravo un granché, mi sembrava pressappochista, avevo fatto un 45 giri, Rido, con lui e lì finì. Invece mi capita di sostituire il suo batterista storico nell’ultimo tour prima di ammalarsi. Iniziamo Via del Campo e io, che l’ho fatta un milione di volte con De Andé, quella sera entro nel suo camerino e gli dico: “Enzo, stasera ho visto quegli occhi grigi come una strada. Ho la fotografia, mi hai dato un’emozione, Fabrizio non l’ha mai fatta così”. E lui, che stava già male, aveva mangiato troppo quella sera, mi rispose: “Ma tu Ellade sei un artista”.
Ora andiamo agli inizi.
Ferrara è la mia città. Ero batterista di balera.
Il primo salto di qualità?
Dalla balera al night, quelli romani e milanesi. Nessuno lo sa, allora nemmeno noi, ma erano i malavitosi che frequentavano i locali a coprirci. Se piacevi a Francis Turatello il posto nell’orchestra non te lo toglieva nessuno. Ma i primi ingaggi erano quelli di San Benedetto del Tronto, dove la mondanità romana si trasferiva a villeggiare. E la prima musicista che ho amato e amo ancora è stata Carmen Villani. Bella, brava, generosa.
Il night club quanto le è servito?
È stata la palestra più dura, la strada. Iniziavamo alle nove di sera e andavi avanti fino alle sei del mattino. Per fare la pipì dovevi chiedere al sassofonista che ti sostituisse alla batteria per un brano.
I primi concerti?
Con Carmen Villani. Erano serate in realtà, tre concerti a sera, in paesi non molto distanti. Poi Nicola Arigliano, John Foster, Wilma De Angelis e Achille Togliani. Ma io volevo questa vita, volevo suonare con tutti. Non mi interessava il posto fisso.
In che senso il posto fisso?
Che sarei potuto entrare in un gruppo, ma non lo feci. L’Equipe 84 mi voleva, ma dissi no. Così iniziai a fare il turnista.
Chi era, o chi è, dipende dai punti di vista, il turnista?
Forse era. Ero quello che stava a disposizione della casa discografica. Ero convocato la mattina alle 9, ma non sapevo e non lo volevo sapere per chi avrei suonato. Scoprivo in studio se c’era Ornella Vanoni piuttosto che Gianni Morandi.
Quanti brani ha inciso?
Non so se settecento o novecento. Ma non è importante. Ho vissuto alla grande. Non mi sono arricchito, ma prestare la musica a quelle voci.. Se riavvolgo il nastro, mi dico che ho avuto una bella vita.
Quando ha iniziato a suonare con chi voleva?
Avevo 20 anni. Mi cercavano, da subito, mi voleva Mario del Monaco come Betty Curtis. Ho avuto un periodo non bellissimo, dai 23 ai 33 anni, quando bevevo come un pazzo e fumavo da scriteriato. Alcolista, tabagista. Camminavo sull’orlo del precipizio.
Poi cosa è successo?
Che ho smesso con le sigarette e l’alcol. I primi sei mesi fu dura. E anche dopo, quando tornavo in studio, con la lucidità avevo il terrore di non essere all’altezza. Fu l’arrangiatore Pino Presti a salvarmi. Mi disse ‘vai a fare yoga’.
Partiamo da Mina?
Era il 1974. Era bellissima. Registrammo a Milano, L’importante è finire. Ma fu uno strano incontro. Neanche mi rivolse la parola, lei parlava con Pino Presti. Anni dopo, nel 1985, registravamo un album, a Lugano. Il brano era Eloise. Io avevo i capelli lunghi allora, quel giorno non avevo la maglietta, sudato da schifo dopo cinque minuti di batteria. Lei venne incontro e mi baciò. Disse a Massimiliano, il figlio, io senza lui alla batteria non registro più nulla. Così è stato per 15 anni.
La prima tournée?
Con Al Bano e Romina. In giro per il mondo, sei mesi fantastici, suonavamo dal Madison Square Garden alle feste private nelle ville di Cleveland. Devo ammettere che è stato uno dei periodi più belli della mia vita. Amo il viaggio, e quella era la situazione ideale. Poi la musica d’autore è arrivata come un incidente, io iniziai con altre cose.
Di chi fu la colpa?
Mi chiamò Alessandro Colombini, produttore di Bennato per Sono solo canzonette. Quello che sentivo accadde. Bennato di allora è stata la prima grande rockstar italiana.
Francesco Guccini, invece, quando arriva?
Sempre. Dall’Isola non trovata del 1970 in poi ci siamo sempre stati. Io, Vince Tempera, Ares Tavolazzi, Flaco Biondini, Antonio Marangolo e Roberto Manuzzi per un periodo. E c’eravamo quella notte di Bologna, nel 1984, quando facemmo il concerto per i 20 di carriera di Francesco. Mai visto piazza Maggiore così. Faceva un caldo infernale, con Francesco sul palco c’erano tutti, da Lucio Dalla a Paolo Conte, Giorgio Gaber e Claudio Lolli. Io dalla batteria vedevo dove iniziava la folla, ma non capivo dove finisse.
Arrivò Paolo Conte in quel periodo?
Fu il buon Renzo Fantini, che era il manager di Guccini e Conte, suonavamo anche con lui, e incastravamo le date. Ma quello fu ancora facile.
Quando si complicò?
Quando dovevamo coordinare i concerti di Conte, Guccini e De André. Per un lungo periodo non fecero mai date concomitanti, ero io che giravo come un matto.
L’incontro con De André com’è stato?
Nasce a Peschiera Borromeo, in un supermercato. Lì incontro Mauro Pagani. Mi chiede che faccio e gli dico che sono in giro con Guccini, ma ci fermiamo per l’estate. La stessa sera Mauro mi chiese di iniziare il tour con De André. Ci sarò fino all’ultimo concerto, al Brancaccio. Ultimo filmato di Fabrizio che suona e canta: sono in quella storia, non ci vorrei essere visto che Fabrizio se n’è andato. Era unico. Diverso dagli altri. Non permetteva improvvisazioni. Diceva: pagano tutti il prezzo del biglietto intero, da Siracusa a Bolzano, e dobbiamo essere perfetti”.
Con Paoli vi siete incontrati di recente?
Sì, ci unisce la passione per il jazz. Uno dei più grandi artisti italiani. Ha una voce matura, unici i suoni e la musicalità. Bello. Ha un fascino irresistibile, quando sale sul palco il pubblico lo accoglie con un rispettoso silenzio e l’attesa per il viaggio che da lì e per due ore tutti aspettano.
Vero che dicevano che lei portasse fortuna?
Il primo Zucchero, il primo Eros Ramazzotti. A un certo punto si era sparsa questa cosa bella: quelli che registravano il primo disco con me vincevano.
Può bastare.
Non direi.
Perché?
Non mi ha chiesto il più bell’album che ho registrato. Terra in bocca dei Giganti. Straordinario.