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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Quant’è difficile avere la meglio sulla Corte di giustizia europea

L’ultima doccia fredda è arrivata la settimana scorsa e riguarda la proroga delle concessioni balneari in Italia fino al 31 dicembre 2020. Secondo l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue la misura decisa dal governo tra il 2009 e il 2012 è contraria al diritto comunitario. Il giudizio definitivo dei magistrati di Lussemburgo dovrebbe arrivare entro l’estate ma, comunque vada, l’impatto della sentenza sarà dirompente. Entro la fine del 2017 potrebbe poi arrivare la pronuncia definitiva sull’annosa questione delle quote latte.
Dal 2010 a oggi sono 156 le decisioni della Corte di giustizia europea che hanno riguardato i quattro Paesi big dell’Unione mettendo la parola fine sul contenzioso tra le capitali e le istituzioni Ue, con la Commissione in prima linea. Avere la meglio su Bruxelles non è facile: solo in 20 casi (il 13% circa) l’arbitro del Lussemburgo – che interpreta il diritto comunitario e garantisce la sua applicazione uniforme in tutti gli Stati membri – ha dato ragione ai governi, mentre nei restanti 136 la sentenza ha portato a una condanna. L’Italia è finita “alla sbarra” soprattutto su aiuti di Stato e ambiente. La Francia si è ritrovata imputata per le scelte legate al fisco, la Spagna per la politica ambientale e i fondi strutturali. E ce n’è anche per la Germania, sanzionata perché non ha rispettato i capisaldi del mercato unico come la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali. Madrid conta il record di sentenze (46 negli anni considerati), ma anche di assoluzioni (intorno al 20%). Seguono Parigi con 38 pronunce di cui quattro assoluzioni (11%) e Berlino con il record più basso di sentenze (28) e un tasso di assoluzione del 10 per cento.
Per il nostro Paese sono 44 i dossier oggetto di contenzioso con la Ue che negli ultimi cinque anni hanno avuto un epilogo definitivo. Solo in quattro casi – il 9% – Roma ha avuto la meglio. Nel giugno 2011 la Corte del Lussemburgo ha respinto il ricorso della Commissione europea sulle tariffe massime negli onorari degli avvocati introdotte dal decreto Bersani. Per i giudici del Lussemburgo queste tariffe non violavano la legge europea, perché non impedivano l’accesso al mercato italiano dei servizi legali agli avvocati di altri stati membri della Ue. Roma ha segnato un altro punto a suo favore nel 2012, quando la Corte Ue ha stabilito che i bandi di concorso per lavorare nelle istituzioni europee devono essere scritti non solo in inglese, francese e tedesco, ma in tutte le lingue dell’Unione, italiano compreso. Nel 2013 è stato invece riconosciuto il regime di Iva agevolata per le agenzie di viaggio.
Sulle 14 cause per aiuti di Stato i giudici si sono dimostrati sempre inflessibili, così come non si transige sul rispetto della normativa europea sull’ambiente. Tra le 12 sentenze (e relative condanne) spicca, per esempio, quella del 2010 sull’emergenza rifiuti in Campania. Il governo è stato giudicato “colpevole” per non aver adottato per la regione «tutte le misure necessarie al recupero e allo smaltimento», violando la direttiva Ue in materia. Lo scorso luglio l’Italia è stata condannata a pagare una multa di 20 milioni e una penalità di 120mila euro per ogni giorno di ritardo nella corretta applicazione della stessa direttiva.
La Spagna nelle sei cause sui fondi Ue ha fatto l’en plein di assoluzioni: dal metodo di calcolo per il Fesr per l’Andalusia alle risorse per la linea dell’alta velocità, dal 2010 a oggi Madrid ha sempre battuto Bruxelles. In totale le assoluzioni per il Paese iberico sono state 9. Poi però Madrid ha dovuto fare i conti con 37 bocciature, come quella del dicembre 2014 sulle regole in materia di lavoro nei porti, che secondo la Corte violava le disposizioni europee sulla libertà di stabilimento. O il giudizio definitivo del maggio dello stesso anno che l’ha condannata a pagare 30 milioni di euro per il mancato recupero degli aiuti di Stato illegittimi concessi alle imprese dalle province dei Paesi baschi. Fra le tre assoluzioni della Francia c’è quella, che continua a fare discutere, del dicembre 2012, che ha visto contrapposta Parigi con il Parlamento europeo. Oggetto del contendere era il tentativo dell’Europarlamento di limitare il numero di sessioni a Strasburgo per razionalizzare i costi. La Corte ha però chiesto l’annullamento della decisione, perché secondo i Trattati devono tenersi 12 sessioni nella città alsaziana e ha chiarito che l’eventuale decisione di modificare la regola spetta ai governi europei. Poi, però, la Francia ha dovuto incassare una serie di bocciature sull’Iva ridotta sugli introiti per le prime dei concerti nel 2011 e sui libri elettronici nel marzo 2015.
Le uniche tre “vittorie” di Berlino, almeno sul campo di gioco del Lussemburgo, hanno riguardato la tassazione dei dividendi e degli interessi versati ai fondi pensione e alle casse pensioni nel 2012, il via libera alla “legge Volkswagen” nel 2013 e il dossier dei fondi Ue alla Germania dell’Est nel giugno 2015. Sul caso Vw, la Corte del Lussemburgo ha stabilito che le modifiche introdotte alla norma – che assegnava al Land della Bassa Sassonia un potere di veto con il 20% del capitale nella casa automobilistica – rispettavano le prescrizioni formulate dagli stessi giudici europei nel 2007. I magistrati Ue hanno annullato anche una decisione della Commissione europea sulla riduzione dei fondi strutturali all’ex Ddr. Per il resto, anche la Germania, virtuosa sui conti pubblici, viene richiamata all’ordine sugli aiuti di Stato a favore di imprese sul suo territorio o per aver ostacolato il principio della libera circolazione.