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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Quei 24 piloti che sono spariti da circuiti. Dal Alguersuari, finito a fare il dj, a Maldonado, rovinato dal crollo del prezzo del greggio

L’ultimo in ordine di tempo è Pastor Maldonado, rovinato dal crollo del prezzo del greggio: l’azienda petrolifera venezuelana gli garantiva i soldi per procurarsi un posto in F1, ma con l’abbattimento degli introiti era impensabile proseguire la sponsorizzazione. No money, no car: la Renault, subentrata alla Lotus, l’ha congedato. Così oggi vanno le cose.
Si stanno per riaccendere i motori del circus e, tra test, pronostici, prospettive e idee lanciate e subito frenate (parliamo del nuovo format delle qualifiche) si rischia di perdere di vista un fenomeno che dura da almeno dieci anni: la F1 brucia i suoi piloti. Abbiamo contato almeno 24 «desaparecidos», trascurando le apparizioni marginali ma imbattendoci in una popolazione comunque nutrita e dalla varia declinazione: promesse mai esplose, brocchi conclamati che però avevano la valigia piena di soldi e che hanno resistito fino all’inevitabile redde rationem, personaggi anche all’altezza ma buttati fuori da chi aveva più risorse da offrire (è il caso di Adrian Sutil: la sua dote è risultata inferiore a quella di alcuni colleghi), giovani che non hanno saputo affermarsi e che hanno mollato il colpo. Un caso emblematico sotto quest’ultimo profilo? Jaime Alguersuari. Pareva il nuovo Alonso, da qualche mese fa il DJ.
È un fenomeno complesso, nel quale non c’è solo la colpa del sistema (quanti sportivi si sono fermati sul più bello, tradendo le promesse?) ma che indiscutibilmente certifica un malessere. Lo conferma Flavio Briatore, che rispetto alla F1 non è più vicino come un tempo, ma nemmeno poi così lontano. Giudizio lapidario: «Un tempo i piloti erano un “asset” e le squadre li pagavano. Oggi accade solo con 3-4 team. Il risultato? Corre gente che nemmeno dovrebbe vedere un’auto di F1, la qualità scade e poi, se arriva uno con più soldi, ecco che perdi il posto. Ma il ricambio frenetico non genera nulla di buono».
C’è un punto d’inizio della nostra ricostruzione: il 2005, l’anno in cui ha cominciato a gareggiare la Red Bull, scuderia che sarebbe poi stata la prima a lanciare un «settore giovanile» con un programma dedicato e arricchito dall’acquisizione della Minardi (ora Toro Rosso), scuderia satellite destinata proprio a mettere alla prova gli emergenti. Ma Giancarlo Minardi ricorda che quel lavoro già lo faceva lui. E con un’attenzione particolare: «Ho sempre badato al talento di un giovane, prima che al suo budget: a fine anno organizzavo test con i vincitori delle varie categorie del motorsport. Oggi manca la quantità, oltre alla qualità. Sono sempre stato un sostenitore delle prove del venerdì: quella è l’occasione per valutare un nuovo pilota e la ricetta funziona ancora. Ricordo che Vettel stava per essere abbandonato dalla Red Bull: girato alla Bmw, ha avuto modo di non perdersi».
A detta di Luca Baldisserri, che fino a un mese fa ha diretto la Ferrari Driver Academy e che ora, alla Williams, si occupa della crescita di Lance Stroll, il sistema Red Bull è perfino troppo selettivo («Alguersuari ne è una vittima»). Meglio, a suo avviso, continuare con la politica di assegnare punti per rilasciare la superlicenza («La Fia è andata nella direzione giusta») e di rivedere l’albero della formazione. Ne riparleremo. Serve prima una riflessione più generale, alla quale tiene Briatore: «Se metti i piloti di oggi in un ristorante, la gente ne riconosce due o tre al massimo: non ci sono più i Senna che spopolavano, oggi il top è Hamilton ma solo perché s’è costruito una visibilità extra F1. Mancano i personaggi, anche perché chi guida non ha libertà di dire quello che pensa, e mancano le “facce da mercato”, piloti come Trulli o Fisichella che dopo l’esperienza nella mia squadra hanno saputo proseguire la carriera altrove».
L’accesso e i passi successivi rimangono comunque cruciali per non creare nuovi desaparecidos. «Serve fare ordine – dice Baldisserri —: la F4 diventerà il primo passo dopo il go-kart, la F3 sarà solo un campionato europeo e potrebbe nascere una F2 utilizzando la base della Gp2». L’ex capo della Fda rimane tutto sommato fiducioso: «L’armonia di questo albero aiuterà anche lo scouting». E forse si guarderà finalmente più al «manico» che ai soldi.