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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

A dieci anni dalla morte del piccolo Tommy

La cassapanca nel fienile custodisce ricordi. Paola dice che «dentro c’è tutto quel che era suo», memorie preziose di un tempo andato. Una pila di vestitini piegati, le scarpette, il ciuccio, il biberon, i giochi...
«L’ultima volta che ci sono andata vicina non ho resistito alla tentazione e l’ho aperta», racconta lei. «Ho sentito il cuore accelerare, un colpo da togliere il respiro, giuro. Ero con mia madre, mia sorella, mio nipote. Ci siamo guardati, nessuno osava aprire bocca». Come aver schiacciato il tasto «pausa», tutto immobile. Nell’aria si poteva quasi sentire il profumo di Tommy. Paola torna a quell’istante: «Ho richiuso immediatamente» ricorda. Ecco. Era quello il suo tasto «play», per far scorrere di nuovo la vita.
Paola Pellinghelli ha 52 anni, gli ultimi dieci vissuti senza Tommy, il suo piccoletto di 17 mesi rapito e ucciso il 2 marzo di dieci anni fa. Era l’ora di cena, il bambino era nel seggiolone, a casa sua, una cascina nella frazione di Casalbaroncolo, alle porte di Parma. I sequestratori staccarono la corrente costringendo il padre del bimbo, Paolo Onofri, a uscire per controllare se fosse stato un guasto. Lo immobilizzarono, entrarono e strapparono Tommy dal seggiolone, davanti alla mamma e al fratellino Sebastiano, 8 anni.
Il piccolino fu ucciso quella stessa sera, pochi minuti dopo il rapimento: lo colpirono con un badile, presi dal panico perché piangeva troppo forte proprio mentre i lampeggianti di polizia e carabinieri si avvicinavano al loro scooter. Lo seppellirono sotto pochi centimetri di terra, lungo la Strada del Traglione, un paio di chilometri in linea d’aria dalla casa della famiglia Onofri. Ma tutto questo si seppe un mese dopo, quando le indagini arrivarono a una svolta e Mario Alessi, muratore che aveva lavorato nella cascina degli Onofri, confessò il rapimento («per chiedere un riscatto») e rivelò il piano messo a punto con i complici, la compagna, Antonella Conserva, e l’amico Salvatore Raimondi. Oggi Alessi è un ergastolano, la donna sta scontando una condanna a 24 anni e Raimondi a 20 (grazie alla scelta del rito abbreviato).
Dieci anni dopo, il bambino che non c’è è in mille e mille pensieri, azioni, piccoli riti. «A Natale, per esempio» dice Paola. «Ogni anno io, gli amici dell’Associazione che si chiama “Tommy nel cuore” e gente di Parma che a volte nemmeno conosco, ci ritroviamo nel posto in cui fu trovato il suo corpo. Facciamo l’albero di Natale per lui, portiamo piccoli doni. È diventata una tradizione. I primi anni facevo anche la torta per il giorno del suo compleanno, poi ho smesso. E da quando lui non c’è più ho chiuso anche con i film violenti e con le notizie di cronaca. Non riesco più a sentire o vedere che facciano del male a qualcuno. In tutti questi anni le sole udienze che non ho seguito sono state quelle con i periti, con le fotografie, la ricostruzione della morte. Anche gli atti... Non li ho mai visti».
Nel punto esatto in cui fu ritrovato il corpo, lungo la Strada del Traglione, c’è un cippo di pietra. «Io ci vado spesso», racconta Paola, «non so dire perché ma mi sembra di sentire la presenza di Tommy più lì che al cimitero. Quel posto per me è un luogo di pace».
Cinque anni e sei mesi di questi ultimi dieci Paola li ha passati al capezzale di suo marito, rimasto immobile dopo un arresto cardiaco e morto nel 2014. «Niente è stato facile» sospira. «Mi ha aiutato avere accanto l’altro mio figlio, Sebastiano, che adesso ha 18 anni e sogna di fare l’ingegnere meccanico». Qualche volta la mente torna in automatico a quella sera, basta un niente: «C’è una cosa che non ho ancora superato, malgrado il tempo» confessa Paola. «Ho un sussulto e mi agito ogni volta che manca la corrente. È successo anche pochi giorni fa. Scatto in piedi senza fiatare, mi viene spontaneo guardare fuori.....».
Si dice che Alessi, l’ergastolano, voglia chiedere il permesso-premio che gli consentirebbe di uscire dal carcere, di giorno, per lavorare. Se ha tenuto una buona condotta e se non è ritenuto socialmente pericoloso, dopo aver scontato dieci anni in teoria può farlo. E i dieci anni stanno per scadere. Paola non vuole nemmeno considerare l’ipotesi: «Spero che davanti a un’eventuale richiesta del genere il giudice valuti con responsabilità tutta la storia di questo mostro. E quando dico tutta intendo le sue bugie ignobili, mentre cercavamo Tommy, intendo la sua condanna per rapina e violenza sessuale nel 2003, intendo la sua perseveranza nel mentire visto che ancora oggi non si è capito chi fra lui e il suo amico abbia materialmente ucciso il mio bambino. Nel 2006 me lo sono ritrovato in casa come muratore perché qualche giudice aveva deciso che potesse stare in libertà dopo la condanna per stupro e rapina di cui io ovviamente non sapevo nulla. Non vorrei che qualche altro giudice gli desse di nuovo credito...».
E se invece succedesse? «Urlerei. Urlerei così tanto che qualcuno, prima o poi, mi ascolterebbe. Vorrei ricordare a tutti che fra me e lui sono io che sto scontando l’ergastolo: la mia condanna è non avere più Tommy, fine pena mai».