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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Oslo, 51 Henrik Ibsens Gate. Visita alla villetta dove si dà il Nobel per la pace, per sapere quante speranze hanno Lesbo e Lampedusa

Oslo Malala che sfidò i Taliban e Martin Luther King assassinato dai razzisti, Walesa che abbatté i Muri e il suo “carissimo nemico” Gorbaciov, Mandela martire africano e il bianco de Klerk con cui divenne amico della svolta, Dag Hammarskjöld ucciso dalle multinazionali e Aung San Suu Kyi, la Lady che non si arrese. Gli eroi del nostro tempo sono qui, quasi ti guardano da archivi e dossier negli scaffali in legno sparsi tra i quattro piani della villetta neoclassica a Henrik Ibsens Gate civico 51. Qui nei prossimi mesi i giurati sceglieranno se accogliere gli eroi sconosciuti narrati in Fuocoammare, i semplici europei di Lampedusa e Lesbo proposti per il premio più prestigioso del mondo. Queste stanze, da oltre un secolo, danno al mondo il Nobel per la pace, le percorriamo per capire come funziona la scelta.
«Non posso dirle chi sono i candidati, siamo vincolati al segreto più assoluto», mi spiega il professor Asle Toje, che mi fa da guida. Insieme ad altri cinque esperti, oggi consegnerà al Comitato dei Nobel la lista delle candidature chiusa il primo febbraio. «Sono ogni anno di più, ormai oltre 278». «Poi si passerà alla rosa finale. Ma il Comitato ha libertà totale, può anche scegliere un nome scartato all’inizio, o esterno al lungo elenco che noi sei compiliamo con note critiche lavorando giorno e notte. Sulla lista completa, su quella scremata e sulle motivazioni che portano a scartare alcuni candidati, magari anche ottimi, a vantaggio di altri, resta in vigore il segreto per mezzo secolo. Viene spiegato solo, dopo la scelta, perché ha vinto il vincitore, non perché rivali validi hanno perso».
Qui tra le boiseries della villa, a un passo dal quartiere delle ambasciate e dal palazzo reale nel cui parco pubblico re Harald passeggia senza scorta, sono arrivate le proposte per Lampedusa e Lesbo, assicurano fonti diplomatiche. «C’è un problema di tradizione e regole: il Nobel per la pace viene conferito a personalità, a organizzazioni, ma non a luoghi», nota il professor Toje. «D’altra parte la storia del premio non manca di sorprese, strappi e svolte. Già nel 1904, contro il parere di Bertha von Suttner, musa di Nobel secondo cui bisognava premiare solo individui anche per aiutarli finanziariamente nelle loro battaglie, il Comitato scelse per la prima volta un’organizzazione, l’Istituto per il diritto internazionale».
E allora, chiedo, quali speranze hanno le due isole? «Niente pronostici, scelta segreta, rispondo solo guardando alla storia del Nobel. Il dolore di chi fugge è il tema costitutivo per il premio: l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, lo ha ricevuto due volte, nel 1954 e nel 1981. Il rifiuto di territori come destinatari esiste, ma non ci sono tabù eterni».
Certo, i migranti oggi sono tema controverso: l’Europa li teme, i populisti vogliono fermarli. «Vero, però il Comitato ha il gusto della sorpresa in nome del rigore accademico del verdetto e non ha mai esitato a fare scelte discusse, politicamente scomode, quando ci ha creduto. Da Luther King che mandò i razzisti del mondo intero su tutte le furie, a Liu Xiaobo, cui la Cina reagì con un gelo che la Norvegia paga ancora». Scelte controverse. «I membri del Comitato sono eletti dal Parlamento norvegese ma fieri della loro indipendenza. Per statuto le preoccupazioni diplomatiche sono lo- ro aliene. Basta ricordare il premio nel 1935 a Carl von Ossietzky, il giornalista tedesco internato e poi ucciso in un lager perché aveva svelato il riarmo nazista a un mondo che s’illudeva ancora in una pace possibile con Hitler». O Kissinger e Le Duc Tho, che portarono la pace in Vietnam, ma dopo che sia Washington sia Hanoi si erano macchiate sul campo di crimini di guerra.Altre voci, nell’ambiente esclusivo del Nobel, sono scettiche sulla possibilità che Lampedusa e Lesbo vengano insignite. «Sarebbe una scelta coraggiosa a favore dell’impegno umanitario della gente delle due isole, mi piacerebbe, e a ben vedere non contraddirebbe il testamento e la volontà di Alfred Nobel di premiare chi s’impegna per la pace. Ma credo che altre candidature abbiano più chances», spiega il professor Asle Sveen, voce critica del mondo accademico norvegese e massimo storico mondiale del Nobel per la pace.
Nella corsa al Premio più mitico del mondo, mi spiega, i rivali più pericolosi di eroi della pace sono altri eroi. «In particolare, un candidato forte è il presidente colombiano Juan Manuel Santos. Se davvero l’accordo di pace con i guerriglieri delle Farc andrà in porto, con una cerimonia solenne a Cuba con Obama e i Castro, apparirà difficile non sceglierlo. Anche perché da molto tempo il premio non va all’America latina, questa semmai può essere l’unica considerazione forte di fair play diplomatico».
Molti rivali, strada in salita, ma chances non inesistenti. «Anche il divieto non scritto in vigore finora, di non premiare luoghi, non è insormontabile», spiega una fonte nella sede del Comitato. «In teoria il Premio potrebbe venir conferito ai sindaci. Di escamotage è piena la storia del Nobel per la pace: anche l’anno scorso il Comitato trasformò le quattro organizzazioni distinte del dialogo nazionale tunisino in un Quartetto per la pace, perché il premio è indivisibile. Nulla è impossibile: nemmeno che per dubbi e divergenze si decida di non conferirlo. È accaduto finora ben 27 volte».
Fiato sospeso e speranze, mentre Fuocoammare cerca anche in Norvegia un distributore. Paura dei migranti e populismo montano anche qui nel Grande Nord, ma l’attesa del pubblico è grande: per le future prime proiezioni si parla già di tutto esaurito.