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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

Perché la Meloni potrebbe candidarsi in extremis per il Campidoglio, nonostante il pancione

Non si aspettava di finire «nel tritacarne», non pensava che la sua decisione di fare un passo indietro sull’ipotesi che pure era in discussione di una sua candidatura a sindaco di Roma fosse interpretata come una fuga dalla responsabilità di giocarsi la leadership di un centrodestra alla ricerca di volti credibili per guidarlo.
Giorgia Meloni, che di Fratelli d’Italia è capo indiscusso e della rissosa coalizione di centrodestra una delle tre punte assieme a Berlusconi e Salvini, sta vivendo giorni difficili. Gli ultimi mesi l’hanno vista protagonista per vicende pubbliche e private che le sono valse gli onori dei riflettori ma anche l’onere del subire critiche: troppo poco coraggio? Poteva e doveva fare di più? ha perso e fatto perdere al centrodestra un’occasione? Ha commesso, come ha scritto ieri Pierluigi Battista sul Corriere, troppi errori?
Lei ci riflette con i suoi e sente di avere ben poco da rimproverarsi. Anzi, la sensazione – non solo sua – è che sia stata lasciata sola e che ora a lei si guardi per salvare il salvabile. Magari ricorrendo a quella che lei stessa ha sempre considerato l’ipotesi ultima, ma che nel centrodestra ora più d’uno considera l’unica via d’uscita possibile: la sua candidatura a sindaco in extremis, nonostante le difficoltà e il clamore del gesto, per far ritrovare l’unità a una coalizione che su Bertolaso si è spaccata, con Salvini a picconare il candidato dimostrando che non è certo quella di Roma la sua partita elettorale, anzi è forse il terreno dove la competizione a destra si fa più dura.
L’ipotesi che la Meloni corresse a Roma è stata davvero in piedi fino a qualche settimana fa, ma nel centrodestra non tutti l’avevano accolta con entusiasmo. Storace (col sostegno di Alemanno e Fini)la sfidava; in FI più d’uno – da Tajani a Gasparri – premeva per Marchini, lo stesso Berlusconi lo aveva benedetto, Salvini aveva aperto ma lei si era opposta: uomo troppo legato alla sinistra, troppo a un mondo come quello delle banche e degli interessi imprenditoriali romani che «sono anni luce lontani dal nostro sentire».
Il pressing era tornato forte anche se – si è sfogata più volte lei – «l’atto di coraggio è stato comunque richiesto solo a me, perché Salvini ha subito detto che lui di correre a Milano non ci pensava proprio...». Ma a far tramontare quasi definitivamente l’ipotesi era arrivata la bella notizia di una gravidanza, che segnerebbe l’intera campagna elettorale e i primi mesi di mandato, per il peso emotivo, fisico, pratico che un figlio comporta per chi debba svolgere un lavoro 24 ore su 24 come quello del sindaco.
Ha temuto la Meloni che i due impegni fossero inconciliabili, ha proposto alternative – il suo Rampelli —, ha chiesto inutilmente le primarie. Alla fine Berlusconi le ha assicurato che anche Salvini aveva accettato Bertolaso e lei ha messo da parte i dubbi su una campagna elettorale che sarebbe stata certamente delicata e difficile pensando – dice – che «l’unità della coalizione e la certezza, in caso di vittoria, di avere un ottimo sindaco valessero il rischio». Ma la guerra aperta all’ex capo della Protezione civile da Salvini, che ha schierato gazebo per frenarne le ambizioni, ha rimescolato le carte. E riaperto a questo punto una partita che sembrava chiusa. Come finirà è arduo da dire, ma non stupirebbe se alla fine la Meloni con una decisione sofferta cedesse, accettando una corsa pesante, difficile, rischiosa. L’extrema ratio appunto, la candidatura al colle del Campidoglio. Quello che alla fine, forse, solo l’unica donna della coalizione può cercare di scalare.