Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

E Trump twitta una frase di Mussolini

Anche Mussolini e il Ku Klux Klan irrompono nella campagna presidenziale reubblicana, via Donald Trump, aggiungendo polemica all’appuntamento elettorale di domani nel Super Martedì.
Il dittatore italiano è stato citato direttamente dal costruttore miliardario, caduto nella trappola tesa dal sito di gossip Gawker, che ha rivelato di aver creato il falso account di Twitter @ilduce2016, apposta per dimostrare come Donald fosse pronto a rilanciare qualunque messaggio che potesse fargli pubblicità. Quindi hanno cominciato a tweettare frasi di Mussolini, attribuendole però a Trump, fra cui «è meglio vivere un giorno da leone, che cento anni da pecora». Appena il miliardario, o chi cura il suo account, ha visto il messaggio, ha subito abboccato. Quando i giornalisti gli hanno chiesto se sapeva di aver rilanciato una frase del duce, e se voleva essere associato ai pensieri di un dittatore, lui ha risposto così: «Io voglio essere associato a citazioni interessanti. Sapevo chi l’aveva pronunciata, ma che differenza fa se era Mussolini o un altro? È certamente una frase molto interessante».
Più grave, per il pubblico americano, è stata la gaffe che ha fatto sul Ku Klux Klan. Qualche giorno fa uno dei suoi esponenti, David Duke, ha detto di appoggiare Trump, e ieri Donald ha evitato di ripudiarlo: «Non lo conosco. Prima di rifiutarlo devo saperne di più». In realtà, quando faceva parte del Partito riformista, il costruttore ne era uscito proprio perché anche Duke era diventato membro, e quindi sapeva chi fosse. I suoi avversari repubblicani sono stati i primi ad assalirlo: «Non possiamo – ha detto Marco Rubio – nominare candidato uno che rifiuta di condannare il Ku Klux Klan». Stesso tono da Ted Cruz: «Triste. Dovremmo essere tutti d’accordo che il razzismo è sbagliato e il KKK abominevole». Poi Donald ha ripudiato Duke via Twitter.
La polemica è scoppiata alla vigilia del «Super Tuesday» di domani, quando molti stati del sud segregazionista andranno alle urne. Trump è in vantaggio quasi ovunque, dalla Virginia alla Georgia, con l’eccezione del Texas che è lo stato di Cruz, l’Arkansas e poco altro. Se Donald vincesse come prevedono i sondaggi, negargli la nomination diventerebbe molto difficile. Perciò l’establishment repubblicano si sta mobilitando, per cercare di fermarlo. I fratelli Koch, ricchi finanziatori, avrebbero stanziato 100 milioni di dollari per fare pubblicità negativa e aiutare Rubio, ma se Marco perdesse le primarie del 1 marzo in Florida richiamerebbero in campo Mitt Romney. Un’altra ipotesi è quella della «brokered convention», ossia nominare un candidato alternativo al congresso del partito in luglio.