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 2016  febbraio 29 Lunedì calendario

«Siamo l’unico popolo che sta sveglio tutta la notte per vedere chi non è stato eletto». Ecco chi sono i riformisti di Teheran

«Noi riformisti vogliamo il cambiamento, rimuovere la corruzione di questi ultimi dieci anni, dare il potere alle donne e ai giovani, far crescere l’economia. Vogliamo uno sviluppo sostenibile». Parvaneh Salahshouri parla al Corriere in inglese, piena di entusiasmo, avvolta dal chador nero. Ha un dottorato in sociologia, ed è una dei trenta deputati eletti a Teheran, tutti della «Lista della Speranza». Parla con franchezza dei problemi delle donne iraniane. «Il nostro valore nella società non è inferiore, ma ci sono delle regole islamiche da negoziare», spiega in riferimento al fatto che, per esempio, la testimonianza di una donna in tribunale vale la metà e non ha pari diritti all’eredità. «E poi c’è l’alto tasso di divorzi, la disoccupazione femminile, la violenza...». Critica l’approccio delle parlamentari conservatrici: «Donne come loro sono contro le donne». Alla domanda se il velo non debba essere una scelta anziché un obbligo, risponde: «Il tempo verrà. Trent’anni fa tutte le donne erano come me, non potevamo indossare gli abiti che portano oggi mia figlia e le altre ragazze».
Se i giovani e le giovani di Teheran hanno votato il 26 febbraio è stato in parte per la speranza trasmessa da candidati come Parvaneh su questioni che vanno dalla libertà di espressione alla mancanza di occupazione e la forte inflazione. Molti hanno deciso all’ultimo minuto, obbedendo all’appello dei leader riformisti, e in particolare quello lanciato su YouTube dall’ex presidente Mohammad Khatami: è vietato ai media mostrare la sua immagine, quindi solo le sue mani appaiono su uno dei poster elettorali (e i sostenitori scherzano che sono bastate a vincere). A Teheran, infatti, si è votato un po’ per il cambiamento e un po’ per il male minore: nella Lista della Speranza, oltre a riformisti e moderati, ci sono diversi conservatori, ma il campo di Khatami ha chiesto di votarli tutti. In un seggio allestito in una scuola, lontano dai flash dei fotografi, madri e figlie coi capelli lunghi e gli hijab striminziti si appoggiavano ai banchi per copiare a penna dai cellulari i nomi dei 30 deputati per il parlamento e dei 16 ayatollah per l’Assemblea degli Esperti. Qualcuno esitava e alla fine lasciava tre righe vuote al posto di alcuni arci-conservatori. «A volte la scelta è tra il male e il peggio», afferma il direttore del quotidiano riformista Shargh. La maggior parte dei candidati riformisti sono stati squalificati, dunque la strategia è stata di allearsi non solo con i moderati ma anche con alcuni conservatori, per tentare di tener fuori i più radicali.
«Sono molto ottimista, la situazione sarà più aperta dal punto di vista politico», assicurava al Corriere Alireza Rahimi, altro deputato riformista della «nuova generazione», in coda alle urne. Allora una ragazza con una sciarpa verde sul capo, accostandosi, gli ha detto: «Io ho votato, ma non dimenticateci». Gli ha ricordato i giovani che sono ancora in prigione per aver partecipato al Movimento verde del 2009, quando le proteste per la riconferma di Ahmadinejad e le accuse di brogli furono represse e i leader Mousavi e Karroubi finirono agli arresti domiciliari. Sotto il polpastrello viola d’inchiostro, la ragazza ha avvolto un cerotto. «È un simbolo. La ferita del 2009 è ancora aperta».
La voglia di cambiamento di sette anni fa non è morta, ma ha assunto una forma diversa. Riesplode per un istante nel grido «Viva Khatami, viva Mousavi» quando l’ex presidente va a votare. Ma subito ai microfoni i funzionari invitano al silenzio, e la folla tace: gli stessi leader riformisti hanno raccomandato «calma e tranquillità». «Chi è andato alle urne appartiene a tre gruppi», dice Akbar Mehri, operaio 35enne. «Primo, quelli fedeli al sistema: una minoranza. Secondo, quelli che sperano di ottenere il cambiamento senza violenza e in modo democratico: tanti. Il terzo, gente come mia madre, che vota per paura di perdere i sussidi o per il timbro sulla carta d’identità senza cui si rischia di non essere assunti«. Lui non ha votato. «È inutile. La struttura politica della Repubblica Islamica prevede che le decisioni siano prese dalla Guida Suprema. Lo stesso Khatami fu eletto presidente da 20 milioni di persone, ma quando gli chiesero cosa ne era stato delle sue promesse, rispose che aveva solo il potere di mediare». Dopo il voto, su Telegram è esplosa la gioia dei riformisti alla notizia che alcuni ultraconservatori non sono stati riconfermati. Poi l’ironia amara. «Siamo l’unico popolo che sta sveglio tutta la notte per vedere chi non è stato eletto».