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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Il blog dal fronte del soldato Mussolini

Un borghese piccolo piccolo, tutto chiacchiere e distintivo, specchio d’un Paese arcaico e denso di cattivi umori com’era l’Italia dell’epoca. Così ci appare il bersagliere Benito Mussolini nel suo Giornale di guerra 1915-1917, ora riproposto da ben cinque case editrici (tra cui il Mulino e Rubbettino), dopo la scadenza dei diritti d’autore del duce. Ma forse il diario in sé non giustifica il rumore mediatico suscitato. È infatti un semplice documento, da non prendere troppo alla lettera. Per questo l’edizione più persuasiva è quella sfornata dalla Libreria Editrice Goriziana, a cura di Mimmo Franzinelli, il quale ha corredato il «giornale» con un centinaio di note e una limpida postfazione, in grado di metterne in luce omissioni e manipolazioni. 
Da brillante giornalista qual era, Mussolini sapeva maneggiare la penna. Le “corrispondenze” diaristiche dal fronte orientale (Alto Isonzo, Carnia, Carso), pubblicate in prima battuta sul «Popolo d’Italia» dal direttore-soldato, hanno la freschezza d’un blog aggiornato in tempo reale. E tuttavia, lo stile asciutto e icastico non deve ingannare. Qui primeggia soltanto l’egolatria di Mussolini, talmente concentrato su se stesso da rasentare la comicità involontaria. Sembra che l’attentato di Sarajevo, lo scoppio della conflagrazione europea e la successiva entrata in guerra dell’Italia siano accadute per lui, affinché potesse parteciparvi e darne conto in un diario privo di ogni senso del tragico: dove gli altri – i vivi e i morti – non esistono, se non come proiezione dell’io narrante. «Pagine di verità, senza letteratura». Così Mussolini aveva annunciato il proprio memoriale. Ma forse sarebbe più esatto parlare di «pagine di cattiva letteratura, senza verità». Il sapiente lavoro di debunking effettuato da Franzinelli svela infatti lo scarto fra il Mussolini del diario in pubblico (cantore della guerra e della camaraderie militare) e il Mussolini privato (assai più disincantato e insofferente per la «diurna e notturna convivenza forzata con individui di un livello intellettuale basso»). A differenza degli interventisti dei giorni nostri, Benito in trincea c’era andato per davvero; ma il suo reggimento rimase sempre confinato in zone morte, mai scosse da eventi acuti, come confermava egli stesso nelle lettere agli amici. Nel diario, invece, trasformerà le isolate scaramucce con l’esercito austriaco in un «grandioso cataclisma umano», pregno di «fiotti di sangue che invermigliano la neve». Non che il soldato semplice (poi caporale) Mussolini fosse un fascista ante litteram. Però il personaggio roboante ed eccessivo c’era già tutto: «Espugnare queste rocce: quale meravigliosa pagina di eroismo latino».Giungiamo così al momento clou, ossia al ferimento di Benito, in data 23 febbraio 1917. Un infortunio ingigantito oltre misura, grazie al quale il «figlio del fabbro» uscirà «con le stimmate dell’eroe caduto e poi resuscitato per volontà della nazione» (Sergio Luzzatto). In realtà, si trattò di un banalissimo incidente occorso durante un’esercitazione, che Mussolini stava osservando da spettatore. I danni furono assai più lievi di quanto strombazzato dalla stampa amica. Inoltre, alle ferite superficiali provocate dallo scoppio del lancia-bombe s’era con ogni probabilità aggiunta un’affezione molto meno eroica, ovvero la neurosifilide. 
A giugno ’17, ormai sulla via della guarigione, l’ex socialista di Predappio riprendeva a tutti gli effetti la direzione del «Popolo d’Italia». Poi, il primo di agosto, una “manina” ignota falsificava la cartella clinica, allungando da 2 a 12 i mesi di convalescenza ordinati dal medico, in seguito portati addirittura a 18. Per merito di quest’inghippo, il miles gloriosus Benito scanserà Caporetto e non s’imbratterà più nel fango dei camminamenti, continuando la guerra da una più confortevole trincea di carta. Peccato che Plauto non abbia potuto conoscerlo, perché gli avrebbe fornito ispirazione per un’altra delle sue brucianti commedie.
Il Giornale di guerra fu raccolto in volume nel febbraio 1923, opportunamente depennato di un passo in cui l’autore ostentava la sua “defezione” dalla santa messa. Appena promosso Presidente del Consiglio, Mussolini censurava il proprio anticlericalismo giovanile, mentre il diario – più volte ristampato – diventerà uno dei pilastri per la costruzione del suo mito. Ma dopo il «patto d’acciaio» stipulato con la Germania di Hitler (maggio 1939), si rivelerà un libro imbarazzante, perché troppo antitedesco. Per questo il leader fascista lo depennerà da un’edizione in due volumi di suoi scritti 1915-1919, pubblicata fra il ’42 e il ’43. 
Solo nel 1990, quando usciranno i Taccuini mussoliniani del giornalista Yvon De Begnac (il Mulino, a cura di Francesco Perfetti), si potranno leggere parole stranamente sincere, pronunciate dal duce intorno agli anni Quaranta: «Io sono stato, in guerra, un privilegiato. Non ho conosciuto le brutture “particolari”, la rivolta dell’irrazionale a tutto danno del buon senso, l’obbrobrio delle decimazioni cadorniane, l’orrido delle fucilazioni al campo. Tutto ciò, anche, è stata la guerra. Ma la buona sorte mi ha concesso di non esserne testimone».
(Benito Mussolini, Giornale di guerra. Alto Isonzo-Carnia-Carso 1915-1917, a cura di Mimmo Franzinelli, LEG, Gorizia, pagg. 218, € 22)