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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

La tregua in Siria sta funzionando. Ma siamo solo al primo giorno

Nessuno, a cominciare da Barack Obama, «si fa illusioni» sulla tregua in Siria. Per il presidente americano molto «dipende dalla Russia». Mosca, almeno ieri, ha mostrato la massima disponibilità e per la prima volta dal 30 settembre ha lasciato sulle piste gli oltre 100 cacciabombardieri che hanno cambiato le sorti della guerra. 
A parte le prevedibili violazioni del cessate il fuoco da parte dell’Isis, ci sono stati incidenti minori. La tregua ha retto almeno per un giorno e Onu, Usa e Russia esprimono «un giudizio positivo» come ha riferito un diplomatico occidentale dopo la riunione e Ginevra del «Gruppo di supporto».
Gli sviluppi camminano su un filo sottile. Per il 7 marzo è prevista la ripresa dei colloqui fra il governo Assad e l’opposizione. Ne hanno parlato ieri il segretario di Stato americano Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov. E il leader dell’opposizione siriana, l’ex premier Riad Hijab, ha garantito al nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni «il massimo impegno per il mantenimento del cessate il fuoco». 
Evitare errori
Sono 97 i gruppi dell’opposizione che hanno aderito alla tregua. Diciassette di loro, secondo il generale dello Stato maggiore russo Serghei Rudskoi, hanno contattato i militari di Mosca per segnalare le loro posizioni ed «evitare ogni possibile errore». Con l’Isis e Al-Nusra escluse dalla tregua, il rischio è che alla ripresa dei raid contro gli jihadisti rimangano coinvolti anche gruppi moderati ma che in questi anni hanno combattuto spesso a fianco degli estremisti.
La situazione più aggrovigliata è attorno a Damasco. In alcuni sobborghi assediati è presente Al-Nusra, soprattutto a Dayara. Che è stata attaccata venerdì, e secondo i ribelli anche ieri con elicotteri di Assad. La tv di Stato ha a sua volta accusato gli insorti di aver tirato colpi di mortaio «su quartieri residenziali» della capitale. E Assad considera anche l’alleanza Jaysh al-Islam, appoggiata dall’Arabia saudita, «terrorista». Senza l’appoggio russo, però, è difficile che Damasco conduca un attacco massiccio. I maggiori rischi vengono dall’Isis e dallo scontro fra curdi e Turchia. Gli islamisti hanno colpito ieri mattina in un quartiere a maggioranza alawita (sciita) della città di Salamiyeh, in provincia di Hama: un’autobomba ha ucciso tre soldati e due civili.
Il fattore curdo
L’attacco è stato rivendicato sull’agenzia dell’Isis Aamaq, come pure l’assalto contro i curdi a Tell Abyad, al confine con la Turchia, riconquistata lo scorso luglio. Un portavoce dei guerriglieri dell’Ypg, Talal Sillo, ha accusato la Turchia di aver lasciato infiltrare gli islamisti attraverso il suo confine. Nella battaglia, ancora in corso, ci sarebbero decine di morti fra i combattenti curdi e «centinaia» nelle file dell’Isis, martellate anche dai raid della coalizione a guida Usa.
Più a Ovest i curdi sono stati di nuovo colpiti, secondo l’Organizzazione nazionale per i diritti umani (Ondus), dall’artiglieria turca. Venerdì il presidente Erdogan aveva detto che considerava lo Ypg «al pari dell’Isis» e lo avrebbe escluso dal cessate il fuoco. È uno degli ostacoli maggiori per la ripresa dei colloqui di pace, anche se l’inviato dell’Onu Staffan de Mistura ha definito «decisamente rassicurante» la situazione, anche in vista dell’incontro del 7 marzo a Ginevra.