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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Dopo 29 anni sarà riesumata la salma di Lidia Macchi

In quella tomba nel cimitero di Casbeno, a due passi dalla questura di Varese, potrebbe esserci ancora il dna dell’assassino. Sepolto, dopo 29 anni. La polizia ha questa speranza, e da qui riparte l’inchiesta sulla morte di Lidia Macchi. La procura di Milano ha chiesto la riesumazione della salma della ragazza di 21 anni uccisa con 29 coltellate a Cittiglio il 5 gennaio del 1987. La decisione spetta al gip di Varese Anna Giorgetti. L’esame dovrebbe svolgersi con la formula dell’incidente probatorio, con un atto irripetibile e che divenga subito parte integrante del processo.  
Cosa si possa rinvenire dopo tutto questo tempo non è chiaro, ma la scienza ha fatto molti passi avanti e il sostituto procuratore di Milano Carmen Manfredda ha deciso di andare fino in fondo. E pensare che il dna dell’assassinio di Lidia era già a disposizione degli inquirenti: prelevato nell’87 dal cadavere della vittima e utilizzato per un test biologico andato a vuoto, il reperto è rimasto conservato in tribunale a Varese fino a 15 anni prima che ne fosse incredibilmente ordinata la distruzione. 
In carcere per il delitto, dal 15 gennaio, c’è Stefano Binda, 48 anni, amico di Lidia, a quel tempo uno dei leader del gruppo di Gioventù studentesca, i ragazzi di Cl; oggi è un disoccupato, invalido civile e con problemi di eroina alle spalle.È accusato di omicidio volontario aggravato. 
Intanto proseguono ancora le ricerche del coltello nel parco di Masnago a Varese. Un reparto dell’esercito esaminerà le zolle d’erba nell’area dove – secondo la testimone Patrizia Bianchi – il giovane Binda avrebbe gettato un sacchetto con dentro qualcosa, pochi giorni dopo il delitto. Nella zona sono stati già trovati sei coltelli e un falcetto. Un archeologo forense dovrà stabilire la datazione degli oggetti. In tribunale sono stati interrogati la sorella di Lidia, il prete di Cl Fabio Baroncini, l’ex amico dell’indagato don Giuseppe Sotgiu e Patrizia Bianchi, la donna all’epoca molto vicina al sospettato che ha riconosciuto in una lettera anonima inviata alla famiglia la scrittura del 48enne. Nel testo, alcuni particolari dell’omicidio noti solo al colpevole. 
«Se è necessario non mi opporrò alla riesumazione – ha sempre dichiarato la madre di Lidia, Paola Bettoni – ma spero che non ci si debba arrivare». Il fratello della vittima invece chiede la riesumazione da tempo. L’indagine sta attraversando un momento decisivo. La squadra mobile di Varese sta interrogando la cerchia degli amici di Lidia, mentre gli avvocati di Binda, Roberto Pasella e Sergio Martelli sperano che il ricorso in Cassazione contro la detenzione cautelare dia uno scossone al castello accusatorio. Tra i reperti sequestrati c’è anche un foglietto in cui Binda, da ragazzo, si descrisse in una poesia «un barbaro assassino». Il Gip di Varese ha trasmesso gli atti alla procura per indagare don Sotgiu per falsa testimonianza: sarebbe stato reticente durante l’incidente probatorio.