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 2016  febbraio 28 Domenica calendario

Leggiamo sui quotidiani, e anche sui siti, titoli molto consolatori sulle elezioni in Iran. Titoli il cui senso è questo: stanno vincendo i riformisti, i conservatori sono sconfitti, i vecchi tempi del terribile Ahmadinejad, che voleva annientare Israele, sono un ricordo del passato

Leggiamo sui quotidiani, e anche sui siti, titoli molto consolatori sulle elezioni in Iran. Titoli il cui senso è questo: stanno vincendo i riformisti, i conservatori sono sconfitti, i vecchi tempi del terribile Ahmadinejad, che voleva annientare Israele, sono un ricordo del passato.

Analisi non vere?
Analisi vere, ma quando si tratta dell’Iran bisogna sempre considerare che nessuno vince mai completamente, che la contraddizione è la pietra fondante di quel Paese e della sua classe dirigente, che mai nessuna strada viene presa nettamente e per sempre. Brecht faceva dire a Galileo che spesso la via più breve tra due punti è una curva: nel caso iraniano si dovrebbe dire che è un arabesco. Tatiana Bouturline, una collega esperta di Iran, figlia di una persiana e di un russo-fiorentino, ha scritto benissimo: «Quello che da sempre confonde le cancellerie occidentali nei rapporti con l’Iran è proprio l’incostanza, la sensazione che nessuna risposta sia mai definitiva, che ci siano sempre due voci da sentire – il poliziotto buono e quello cattivo – e che l’interlocutore disponibile non sia mai quello giusto (“chi comanda davvero a Teheran?” è la madre di tutte le domande agli analisti)».  

Quindi i riformisti stanno vincendo senza che i conservatori perdano?
Qualcosa del genere. Si è votato per eleggere il Parlamento e l’Assemblea degli Esperti. L’Assemblea degli Esperti è un consesso di 88 persone, che resteranno in carica otto anni, e che dovranno eleggere, se dovesse mancare, il successore della Guida Suprema Khamenei. Al momento i primi dieci candidati con maggior voti sono tutti della lista “Esperti del Popolo”, che si qualifica effettivamente come riformista. il più votato per ora è Rafsanjani, che fu già presidente dell’Iran (1989-1997), presidente degli Esperti (2007-2011) e battuto nel 2005 da Ahmadinejad. Dopo di lui i candidati più votati sono due ministri in carica. Non è che si tratti di veri riformisti quanto di gente, se mi capisce, che si sa muovere. Ricordiamo che l’attuale presidente della Repubblica, il cui posto non è messo in discussione da questo voto, è Hassan Rohani, quello che è venuto di recente a Roma e per rispetto del quale abbiano inscatolato le statue nude. Rohani, più che un riformista, è un conservatore nascosto, che però ha firmato l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. Quando le agenzie di quel Paese annunciano che stanno vincendo i riformisti obbediscono in realtà a un ordine di scuderia che viene direttamente dalla presidenza. Le cose non stanno esattamente così se si va a guardare da vicino.  

Si conosce già il risultato?
Molto parzialmente, un decimo dei seggi nel voto per il Parlamento. Sappiamo però come si sono formate le candidature. In Iran non può presentarsi alle elezioni chiunque: il Consiglio dei Guardiani prende in esame tutti gli aspiranti a un seggio e ammette o respinge senza possibilità di appello. Gli ammessi alla contesa per i 290 scranni della Camera sono 4.800, appena il 42% di tutti quelli che avrebbero voluto partecipare. Tra questi 4.800 i veri riformisti sono appena l’1%, cioè poco meno di una cinquantina. Il Consiglio dei Guardiani ha anche bloccato la via a personalità centriste o persino a moderati/conservatori che hanno però il torto di essere schierati con Rohani. La stessa attenzione è stata posta ai santoni che vogliono essere ammessi tra gli Esperti. L’ex presidente Khatami è stato escluso dalle candidature, gli è stato proibito di parlare, i giornali non possono citarlo e meno che mai mostrarlo in foto. Quelli che adesso vengono chiamati riformisti e magari acclamati dal popolo turchese (il turchese quest’anno è il colore dei progressisti) sono soltanto un asse tra conservatori di varie sfumature che si limitano a non gridare alla maniera di Ahmadinejad. Voglio dire, in definitiva, che l’Iran alla fine è sempre quello che è.  

Però, almeno, non implora più l’annientamento di Israele.
Pochi giorni fa gli ayatollah hanno annunciato un contributo economico importante per i terroristi palestinesi: settemila dollari a coloro che rimarranno uccisi durante un attentato contro Israele e trentamila dollari a coloro che si vedranno distruggere la casa da missili di Tel Aviv. Nello stesso tempo è stata aumentata la taglia che pende sulla testa dello scrittore Salman Rushdie, colpito da una fatwa di morte al tempo della pubblicazione de I versi satanici
, fatwa che era stata rinnovata l’ultima volta nel 2008 e che ora il regime ha ribadito: per chi ucciderà lo scrittore non è previsto più un premio di 3 milioni e 400 mila dollari, ma, cifra tonda, di quattro milioni di dollari.  

Ma allora l’accordo con gli americani, i viaggi in Occidente e le promesse di Rohani...
L’accordo sul nucleare ha fortissimi nemici negli Stati Uniti, e non solo tra i repubblicani, ma ha anche fortissimi nemici a Teheran, e non solo tra i pasdaran. Diciamo che il regime ha fatto in modo di riequilibrare quell’apertura, di natura soprattutto economica (le sanzioni), con una forte chiusura politica. Però sterzare troppo a destra non si può. Il 65% degli iraniani (80 milioni di persone) ha meno di 35 anni. Il 40% è sotto i 25. Le strettezze imposte da quella strana teocrazia democratica sono mal sopportate. I giovani vogliono aperture, sviluppo, le libertà occidentali. Anzi qualcuno dice che nessun popolo islamico è così poco interessato alla religione come quello persiano.