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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

Siamo un paese di malati cronici. E la cosa ci costa caro

Per avere un’idea di quanto il tema sia cruciale per il futuro della sanità pubblica basta scorrere velocemente i numeri. Secondo l’Annuario statistico italiano del 2015, presentato dall’Istat poche settimane fa, in Italia i malati cronici rappresentano il 38,3% della popolazione, cioè circa 23 milioni di persone, e la risposta alle cronicità assorbe circa il 70% della spesa sanitaria pubblica.
STATISTICHE
Eppure, nonostante lo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, abbia in più occasioni sottolineato la necessità di riuscire a garantire nei prossimi anni risposte più efficaci a una popolazione destinata a vedere crescere la quota di anziani e malati cronici, il governo Renzi non ne ha certo fatta una priorità. Basti pensare che il Piano nazionale della cronicità, che secondo il Patto per la salute sarebbe dovuto essere predisposto dal ministero entro il 31 dicembre 2014, è tuttora in attesa di approvazione. E che l’esecutivo si è schierato contro le associazioni dei portatori di handicap ricorrendo al Consiglio di Stato contro le sentenze del Tar del Lazio, che avevano dato ragione ai rappresentanti dei malati sull’annosa questione di quali voci contemplare nel calcolo dell’Isee (l’Indicatore della situazione economica equivalente) sulla base del quale vengono concesse le esenzioni sui ticket di farmaci e prestazioni sanitarie. «Una vera vergogna: il nuovo sistema, sommando le pensioni di invalidità al reddito, fa perdere ai malati importanti benefici e li costringe a pagare per prestazioni alle quali dovrebbero avere diritto gratuitamente», commenta Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici – Cittadinanzattiva. «Questo in nome di una razionalizzazione delle risorse che si dovrebbe perseguire andando a colpire gli sprechi, non incidendo sui malati».
REGOLE BEFFA
Tra l’altro, se da un lato è vero che per quanto riguarda le prestazioni specialistiche e diagnostiche i malati cronici hanno un tesserino che dà diritto all’esenzione, dall’altro il rischio di dover comunque pagare di tasca propria è alto. «Non è detto che le prestazioni previste per la patologia coprano tutte le visite e gli esami», spiega Aceti. «Inoltre, la normativa sulle esenzioni non viene aggiornata da anni e, visto che la lista delle malattie croniche per cui lo Stato riconosce l’esenzione non comprende diverse patologie importanti, come ad esempio la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), la cefalea o l’osteoporosi, ci sono malati che si devono pagare tutto». Emblematico il caso delle malattie rare. La classificazione ufficiale, che non viene aggiornata dal 2001, garantisce la tutela a 284 patologie e 47 gruppi di patologie. Negli ultimi 15 anni, però, la ricerca scientifica ha portato «all’individuazione di altre 110 patologie che al momento non sono riconosciute», spiega Nicola Spinelli Casacchia, presidente di Uniamo, federazione che raccoglie oltre 100 associazioni di malati rari e familiari. Il risultato è che «per quanto riguarda il riconoscimento dei costi, dell’esenzione e delle tutele in termini di presa in carico, il paziente soffre», finendo per dover pagare di tasca propria e per affrontare liste di attesa sempre più lunghe. Non basta. Al di là dell’aspetto economico a pesare sui malati cronici, in particolare su quei 7,6 milioni di persone affette da malattie gravi quali diabete, infarto del miocardio, angina pectoris, ictus ed emorragia cerebrale, bronchite cronica, enfisema, cirrosi epatica, tumore maligno, malattia di Parkinson, Alzheimer e demenze senili, è anche la scarsa organizzazione dei percorsi di cura. OSTACOLI «Fatta eccezione per ciò che accade nelle Regioni che hanno modelli di assistenza particolarmente efficaci, come l’Emilia Romagna o la Toscana dove non è il paziente a inseguire la sanità ma la rete sanitaria a occuparsi del paziente, i malati cronici si trovano a fare i conti con le liste di attesa e la frammentazione dei percorsi», spiega Aceti. «Soprattutto quest’ultimo aspetto rappresenta un grosso problema, perché spesso i malati hanno bisogno di risposte multisciplinari che faticano però a essere garantite». Si pensi ad esempio al caso di un diabetico. Per affrontare adeguatamente la malattia possono essere necessari interventi da parte di un diabetologo, di un dietologo, di un cardiologo, di un ortopedico e di un podologo.Se il paziente viene inserito in un percorso organizzato, nel quale è lo stesso medico a prenotare la visita con un altro specialista e nel quale l’esenzione viene garantita in automatico grazie alla cartella sanitaria digitale, è chiaro che per lui la vita diventa più semplice. Se invece, come accade in molte Regioni, deve destreggiarsi tra liste di attesa, specialisti che non comunicano tra loro, diritto all’esenzione difficile da ottenere o non sempre riconosciuto, è evidente che il peso della malattia aumenta.
BUROCRAZIA
Un problema, questo, che assume dimensioni spesso devastanti per i circa 2,6 milioni di malati cronici che vivono in condizione di disabilità. «Per avere accesso ai benefici economici legati all’invalidità civile e all’accompagnamento queste persone si scontrano con una burocrazia pesantissima, pagando spesso il conto della politica di lotta ai falsi invalidi che, per colpire pochi, colpisce nel mucchio»”, protesta Aceti. Come se non bastasse, anche sul fronte dei farmaci le brutte sorprese non mancano. «Visto che per quanto riguarda i conti pubblici la coperta è sempre più corta, siamo al punto che si utilizza l’aspetto tempo per posticipare l’effetto sulle casse dello Stato, rallentando l’approvazione e l’inserimento nelle liste di farmaci innovativi ad alto costo», spiega il responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici – Cittadinanzattiva. «Lo abbiamo visto per esempio per tutti quei farmaci per l’epatite C che ora sono stati autorizzati ma che hanno dovuto affrontare un iter davvero molto lungo, a dimostrazione di come, anziché attrezzarsi per migliorare la qualità dell’assistenza e la sostenibilità del servizio sanitario nazionale», conclude Aceti, «ci si stia preoccupando solamente di come contenere la spesa».