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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

I pianti nella sala d’attesa del veterinario

Gli animali domestici vivono quasi tutti meno di vent’anni. Alcuni molto meno di vent’anni. Ho perso il conto di quanti criceti, cavie e porcellini d’india ho sepolto nella mia infanzia. Ogni lutto doveva essere ritualizzato e per quanto fossi una bambina cinica già convinta che dopo non c’è proprio niente (specie per un criceto) ho organizzato comunque funerali fantasiosi per ognuno di loro. Li ho sepolti in parchi, giardini di amici, foreste, tumulati in rocce vista mare, composti in scatole da scarpe e gettati nel fiume. Ma era una faccenda semplice: un giorno erano vivi, il giorno dopo erano morti. I cani e i gatti invece si ammalano, guariscono, si ammalano di nuovo prima di morire. Nel mezzo ci sono le visite dal veterinario. Che i gatti affrontano con dignità, sonnecchiando nelle sale d’attesa protetti dal trasportino, sfidando il dottore come sfidano chiunque. I cani invece memorizzano il percorso e quando capiscono dove li stai portando, si barricano in macchina, si nascondono tra le tue gambe, si fingono morti così che devi trascinarli di peso dentro la stanza. Alla vista del veterinario tentano l’ultima disperata fuga. Solo per misurargli la temperatura devono essere immobilizzati, talvolta sedati. Ma peggio di loro siamo noi. La sala d’attesa del veterinario è il posto al mondo dove ho pianto di più dopo il bagno di fronte alla mia classe di liceo. E anche in quel caso era una questione d’amore.