Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 27 Sabato calendario

I classici americani rivisti da Bob Dylan. Ecco come sarà il nuovo album

Ci ha preso gusto Bob Dylan a fare il crooner. Lui, il più gracchiante degli interpreti e il più scontroso, geniale e impenetrabile dei cantautori americani. Addolcito dagli anni, dalla gloria, da un perdurante stato di grazia artistico è tornato in studio pronto a sfornare un altro album languido, morbido come la notte proprio sulla scia di Shadows in the Night. Effetto, comprensibilmente compiaciuto, di un disco miracoloso e sorprendente per qualità (comprese le sue capacità vocali) e per i riscontri di vendite che lo hanno trasformato, a dispetto di ogni regola vigente nel mercato musicale, in un successo anche di numeri con molti primi posti nelle hit parade e oltre due milioni di copie vendute. Il sospetto, al di là dell’evidente piacere che il grande Bob ha provato a cantare quei pezzi vintage, è che con il suo intuito abbia intravisto il realizzarsi di un nuovo proficuo e stimolante capitolo nella sua lunga carriera. Insomma, alle porte dei 75 anni (li compirà il 24 maggio), mentre le major continuano a sfornare sue vecchie registrazioni (l’ultimo uscito a novembre: il dodicesimo volume delle Bootleg series con The cutting edge 1965-66)
CLASSICO
Il vecchio Dylan si è scoperto interprete classico, appunto un fantastico crooner capace di rileggere il passato con continuità e originalità e, soprattutto, senza un briciolo di nostalgia (e non sarà certo il fatto che un classico crooner come Tony Bennett lo abbia battuto qualche giorno fa ai grammy nella categoria Best traditional pop album, dove aveva ottenuto la nomination per Shadows in the Night, a fargli cambiare idea).
Dunque, tornano perfettamente le notizie che arrivano dall’America e confermano quanto si diceva da tempo: e cioè che il menestrello di Duluth voleva realizzare una sorta di sequel di Shadows in the night. E, a darne indirettamente conferma, sono venute le parole del suo ingegnere del suono, Al Schmitt che, probabilmente su licenza del suo boss, ha rivelato come Bob sia di nuovo nei celebri Capitol studios di Los Angeles, quelli che aprirono nel 1956, in pieno ritorno in auge di Frank Sinatra. E non è questo l’unico indizio che fa pensare che il nuovo disco avrà parecchie parentele con il precedente, segnato dall’ammirazione per il songbook di The Voice. Schmitt ha anche rivelato che il materiale musicale è ancora una volta rappresentato da standards, cioè che Dylan è andato a pescare per la seconda volta nel cosiddetto great american songbook che aveva alimentato Shadows in the Night: grandi canzoni degli anni ’40 e ’50, in particolare ballad dal respiro intimo e classico. Non ha spiegato, però, se le sessions attuali siano o meno un’integrazione di quelle di due anni fa che portarono alla realizzazione di ventitrè tracce, di cui solo dieci hanno visto la luce nel cd (compresi classicissimi come Autumn Leaves, The Night we called it a Day, Some enchanted Evening, I’m a fool to want You).
LA BAND
Con lui nello studio B della Capitol ci sono ancora una volta i suoi fidatissimi musicisti, un quintetto di cui fanno parte i soliti Stu Kimball alla chitarra, Donnie Herron alla steel guitar, al banjo, e al violino, Charlie Sexton alla chitarra, Tony Garnier al basso e George Receli alla batteria. E il modus operandi non cambia (Dylan è ostinato e abitudinario). Due session al giorno dalle 3 alle 6 di pomeriggio e dalle 8 alle 10,30 di sera. Nessun artificio tecnologico, si suona tutti insieme come se si fosse dal vivo e, addirittura, niente cuffie. «C’è un gran suono – ha commentato Schmitt – e l’atmosfera è favolosa. Ci stiamo divertendo davvero. Con Bob siamo come due vecchie scarpe ormai, e siamo a nostro agio uno con l’altro».
Buio totale invece sui titoli scelti, anche se è chiara l’indicazione della strada scelta, e a conferma dell’affetto che lega Dylan a quel repertorio. «Avverte che quella musica è stata scritta non solo da grandi professionisti, ma da gente che sapeva scrivere con il cuore. Ecco perché, uno dei più grandi autori americani di canzoni, ora dice non ho voglio di scrivere altri pezzi, preferisco rendere omaggio a quel materiale che mi ha segnato quando ero un bambino»: ha rivelato tempo fa Daniel Lanois, il produttore e musicista canadese che ha lavorato con Bob (negli album Oh Mercy e Time Out of Mind) e che un giorno ebbe una sua lunga visita per fargli ascoltare proprio un bel po’ delle grandi canzoni che sta incidendo.
Marco Molendini