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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

Chi è il nuovo capo del calcio mondiale? Ritratto di Gianni Infantino

«In che lingua prendiamo le decisioni all’Uefa? Se parliamo diplomaticamente, in francese. Se ci arrabbiamo, in italiano: le parolacce vengono meglio». Così Gianni Infantino raccontò un giorno l’«italian connection» ai vertici dell’Uefa, da Michel Platini in giù. Infantino è nato in Svizzera, a Brig, 9 chilometri dalla città di Blatter. Ma le radici sono italiane e anche lui, dentro, si sente italiano a tutti gli effetti. Il papà, scomparso qualche anno fa, era calabrese, controllore di treno. La mamma arrivava dalla Valcamonica e faceva l’edicolante in stazione. Era destino, complice la carta stampata, che si conoscessero lì, emigrati in Svizzera. Gianni nasce il 20 marzo 1970. Rivela: «Da piccolo, per vederli, andavo lì e mentre aspettavo divoravo la Gazzetta: ho studiato l’italiano così».
Aspettando e lavorando: perché di soldi non ce n’erano tanti e, per pagarsi gli studi, Infantino pulisce carrozze e vagoni letto, e aiuta la mamma nel chiosco, tra giornali e cioccolata svizzera. Gli piace il calcio, ma non è un fenomeno: «No, non sapevo proprio come fare». Ha spazio nella Folgore, squadra per soli italiani del vallese: «Giocavo soltanto perché papà faceva l’allenatore e mamma lavava le maglie». Ruolo? «Dove mancava qualcuno. Nella partita della promozione dall’ultima alla penultima serie sono entrato a cinque minuti dalla fine: sul 4-1 non potevo più far danni».
Molto meglio gli studi. Infantino si laurea in legge a Friburgo e diventa avvocato di diritto sportivo all’Università di Neuchatel, lavorando per il Cies (Centro internazionale studi sportivi). Comincia a collaborare con la Figc, la federazione svizzera e la Lega spagnola. Parla indifferentemente cinque lingue, italiano, tedesco, inglese, spagnolo, francese, mastica un po’ di arabo e si sente cittadino del mondo. Anche perché ha una moglie libanese, da cui ha avuto quattro figli.
Entra nell’Uefa nel 2000 e la sua scalata è inarrestabile: direttore degli affari legali nel 2004, segretario generale nel 2009. Diventa braccio destro di Platini, al quale però non ha il coraggio di rivelare subito un «segreto»: il suo idolo giovanile era Evaristo Beccalossi… Da bambino, il papà lo portava la domenica a San Siro e in campo c’erano Altobelli e Beccalossi. In stanza, in bella mostra, il poster del «10» nerazzurro, «uno che faceva girare la squadra, un po’ fuori dai giochi, Bearzot non lo convocava: soffriva quasi come un emigrante».
All’Uefa è l’architetto del fair play finanziario. Negli anni conquista autorità e potere, diventa famoso perché gestisce i sorteggi in diretta tv, ma la presidenza della Fifa non l’avrebbe neanche sognata se Platini non fosse stato squalificato. La decisione di candidarsi ha rischiato di compromettere i rapporti tra i due, ma negli ultimi tempi c’è stato il riavvicinamento. E Platini spera sempre nel Tas per restare presidente Uefa.