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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

L’impresa di Simone Moro, primo a scalare d’inverno il Nanga Parbat, 8.126 metri, nona montagna della terra

Il 26 febbraio 2016 sarà ricordato come una giornata storica negli annali dell’alpinismo. La prima invernale del Nanga Parbat, che con i suoi 8.126 metri, è la nona montagna della terra, conclude una gloriosa epopea, inauguratasi centotrentuno anni fa con il primo, tragico tentativo al colosso del Kashmir, condotto da uno dei più grandi scalatori dell’Ottocento, l’inglese Frederick Mummery. Con la prestigiosa vittoria conseguita ieri dall’alpinista bergamasco Simone Moro, insieme allo spagnolo Alex Txicon, al pachistano Ali Sadpara (nelle vesti dello scalatore e non del portatore) e alla altoatesina Tamara Lunger, fermatasi a pochi metri dalla vetta, si completa la conquista invernale della montagna che aveva mobilitato negli anni una trentina di spedizioni. L’alpinista-pilota italiano si aggiudica un ambito primato: è il solo uomo ad avere vinto nella stagione più ostile ben quattro ottomila. Prima del Nanga Parbat, aveva calcato nel 2005 gli 8.013 metri dello Shisha Pangma, nel 2009 il Makalu di 8.462 metri, nel 2011 il Gasherbrum II, 8.035 metri. Ora da salire in inverno resta solo il K2, la «montagna degli italiani», la seconda cima della Terra e la più difficile, ma finora sono solo tre i tentativi effettuati.
Il Nanga Parbat è sempre stata una cima avvolta da una fama sinistra. Conosciuta come «killer mountain» (montagna assassina), è temutissima dalle popolazioni locali, che le hanno assegnato epiteti non meno cupi: «mangiauomini», «montagna del diavolo». Del resto non era ancora stata salita e all’inizio degli anni Cinquanta poteva vantare una lista di trentuno persone morte nei diversi tentativi. Ancora oggi, con il 28% di vittime fra chi l’affronta, è considerata dopo l’Annapurna il secondo ottomila più pericoloso. Come se non bastasse, nel giugno del 2013 fu al campo base del versante Diamir che undici alpinisti vennero uccisi nel corso di un attacco terroristico. Anche gli italiani su questa cima hanno pagato un duro prezzo. Nel 1970, scendendo dal versante Diamir, dopo la prima ascensione del versante Rupal, dove si erge la parete più alta del mondo (4.600 metri), Reinhold Messner perse il fratello, mentre nel luglio del 2008 Karl Unterkircher morì cadendo in un crepaccio, mentre era impegnato ad aprire una nuova via sul versante Rakhiot.
Simone Moro, che il grande pubblico ha conosciuto come anchorman televisivo del reality Monte Bianco, aveva già tentato due volte e senza successo l’ascensione invernale del Nanga Parbat, una volta sul lato Rupal, l’altra su quello Diamir. La scalata vittoriosa gli è riuscita al terzo tentativo lungo la via Kinshofer, considerata la «normale», sul Diamir, dove quest’inverno erano impegnate quattro squadre. Tenendo duro nel maltempo delle scorse settimane, Moro ha potuto approfittare di una finestra favorevole, con tempo non troppo gelido e assenza di vento.
Oggi è previsto il rientro al campo base degli alpinisti, che hanno trascorso la notte ai 7.200 metri del campo 4. Con la rinuncia nella sua spedizione sia alla comunicazione, sia all’elicottero, Moro ha voluto rilanciare un’idea dell’alpinismo come grande avventura nella solitudine della wilderness.