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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

I venticinque anni a Radio Vaticana di padre Lombardi raccontati da lui

Quasi ventisei anni alla Radio Vaticana. Il momento più emozionante?
«Quando sono corso al microfono per dire in diretta che era morto Giovanni Paolo II. Navarro mi disse al telefono sì, è morto alle 21.37… Dal secondo piano mi feci di corsa tutto il corridoio e le scale fino allo studio al quarto, un po’ di fiatone, la commozione, lo annunciai in quattro o cinque lingue poco prima che fosse detto a San Pietro e poi andai in cappella a celebrare la messa di suffragio in latino che trasmettemmo in diretta...».
Tra tanti eventi, pure le dimissioni di un Papa...
«Sì, ma quella volta lo ha annunciato direttamente lui».
Padre Federico Lombardi, ironia e distacco come stile di vita, è l’ultimo dei direttori generali gesuiti che per 85 anni hanno guidato la Radio Vaticana. La messa di lunedì, a Santa Maria in Traspontina, non segnerà solo il suo addio alla radio – resta portavoce della Santa Sede – ma la fine di un’epoca iniziata alle 16.30 del 12 febbraio 1931, quando Pio XI pronunciò il primo radiomessaggio pontificio, accanto a sé Guglielmo Marconi e padre Giuseppe Gianfranceschi, primo direttore. Padre Lombardi ha guidato i programmi dal 1990 e dal 2005 è stato direttore generale. Ora non ci sarà più un direttore generale né una Radio Vaticana «come istituzione autonoma». Francesco, il 27 giugno 2015, ha creato una Segreteria della comunicazione e avviato la riforma dei media vaticani per «accorpare tutte le realtà».
Un po’ di malinconia?
«Io qui comincio e finisco le giornate, un po’ mi mancherà, è normale. Ma no, nessuna malinconia, sapevo benissimo che ci voleva una riforma. L’unica preoccupazione, quando si cambia, è di non perdere le cose importanti».
Ad esempio?
«Negli anni abbiamo ampliato le tecnologie di diffusione, onde corte e medie, Fm, e dagli anni Novanta i satelliti, la Rete: tutti i nostri programmi e i testi in quaranta lingue sono su internet. Parlare di radio non corrisponde più alla realtà che siamo diventati ed è chiaro che le onde corte sono in gran parte superate, le abbiamo dimezzate. Però sono rimaste, e non per ragioni affettive».
E perché, allora?
«Perché raggiungono quelle parti del mondo dove le nuove tecnologie non sono disponibili o non c’è libertà di usarle. Durante il comunismo, nei Paesi dell’Est, la gente ci ascoltava di nascosto alla radio. Lo stesso accade oggi in alcune realtà dell’Africa o del Medio Oriente. Verso il Golfo, l’Arabia Saudita, abbiamo cominciato a trasmettere in onde corte, al venerdì, la messa in inglese per gli immigrati cattolici che lavorano là. Riusciranno a sentirla col telefonino? Non so... Il successore a Gibuti dell’ultimo vescovo ucciso sulla porta della cattedrale di Mogadiscio, anni fa, mi chiese 10 minuti la settimana in somalo. Quanti ascoltatori ci saranno stati, poche decine? Quando si pensa alla efficacia della comunicazione queste cose sono marginali...».
Però riguardano la missione della Chiesa...
«Già. Si possono trovare i modi di mantenere o ampliare certe attività senza gravare troppo sui conti. Va benissimo cercare di raggiungere grandi audience con le nuove tecnologie, però non ci dimentichiamo di poveri e oppressi. Questa è la mia preoccupazione, lo dico perché ci si rifletta. È una cosa per cui abbiamo lavorato e vissuto. Anche la ricchezza multiculturale e multilinguistica è un patrimonio che non va dismesso, perché corrisponde alla universalità della Chiesa».
Pio XI affidò la radio ai gesuiti. Ora che succederà?
«Francesco ha detto di desiderare che i gesuiti continuino ad essere presenti e impegnarsi. C’era uno statuto che affidava loro una realtà che non esiste più. Come fare ora va ristudiato e definito. Si può immaginare che mantengano una responsabilità nell’attività informativa».
Il primo giorno alla radio?
«Era il giorno dell’inizio della Guerra del Golfo. Mi chiedevo: cosa devo dire, qual è il mio compito? Ma non era così difficile. La linea era quella data dal Papa: leggere la realtà alla luce delle sue parole su guerra, pace, giustizia. Informare su quello che il Papa dice e fa e aiutare a capire ciò che dice e fa, non ciò che ha in testa Federico Lombardi. Questo è chiaro a tutti coloro che lavorano qui: essere al servizio del Papa e della Chiesa».