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 2016  febbraio 27 Sabato calendario

La situazione è questa: tutto il mondo è pronto a intervenire in Libia per fermare la crescita dell’Isis, ma si vuole che questo intervento sia perfettamente legale, cioè non abbia l’aria, o non possa essere raccontato ai libici, come un’operazione neo-coloniale, che faccia pesanti vittime tra la popolazione civile

La situazione è questa: tutto il mondo è pronto a intervenire in Libia per fermare la crescita dell’Isis, ma si vuole che questo intervento sia perfettamente legale, cioè non abbia l’aria, o non possa essere raccontato ai libici, come un’operazione neo-coloniale, che faccia pesanti vittime tra la popolazione civile. Questa è la posizione italiana, che gli americani hanno accettato al punto di sottostare a una specie di diktat romano: non farai nessuna azione in Libia senza informarmi prima e io ho il diritto di vietartela.

Da dove viene all’Italia tutta questa strana forza? M’ero fatto l’idea che in politica estera non contassimo niente.
Questa forza viene all’Italia dalla base di Sigonella, in Sicilia. Da qui e solo da qui partono i droni. L’attacco americano a Sabratha di qualche giorno fa, che ha fatto 41 morti (nessun  libico) e in cui dovrebbe essere stato ucciso il capo Isis di qui, il tunisino Noureddine Chouchane, è dovuto partire dalla base di Lakenheath in in Inghilterra, perché gli italiani non avrebbero dato mai (e mai daranno) il permesso di adoperare Sigonella per un’azione del genere. D’altra parte se per qualche azione isolata si può fare altrimenti, per un attacco in serie, con droni o senza droni, non si può fare a meno di Sigonella. Il problema libico, una volta che fosse messa a posto la situazione, sarebbe oltre tutto sostanzialmente nostro. Renzi e Gentiloni si preoccupano del dopo. È pressoché certo che laggiù alla fine dovremo starci noi.  

Come mai ci stiamo occupando di questo proprio oggi?
Ci sono allarmi sulla crescita locale dell’Isis (sarebbero passati dai tremila iniziali ai 6.000-6.500 di adesso, con base a Sirte), si sa che francesi e inglesi operano già sul territorio e puntano a uno smembramento del paese che lasci anche a loro un pezzetto di Paese e di petrolio. Soprattutto il parlamento di Tobruk dovrebbe riconoscere, lunedì o martedì, il governo di unità nazionale costruito a Tunisi dall’Onu grazie al lavoro del mediatore internazionale Martin Kobler. Questo governo è stato formato col bilancino di un manuale Cencelli mediorientale - qualcosa di inimmaginabile - e per far contenti tutti ha più di 100 membri e tre ministri degli Esteri. Se Tobruk dirà veramente di sì e il premier di questo esecutivo abbastanza mostruoso, che si chiama Fayez al-Sarraj, chiederà davvero formalmente un aiuto, allora si potranno mandare truppe di terra e non dar tregua al Califfo.  

Sembra facile.
Non lo è anche per questo fatto: in Libia c’è un altro parlamento, a Tripoli, che non riconosce il governo Onu di Tunisi ed è nemico del parlamento di Tobruk. Se Tobruk dirà di no al governo Onu di Tunisi, il mondo tenterà di mettersi d’accordo con questo governo islamico di Tripoli, che è comunque nemico dell’Isis (almeno così pare). In questa bolgia di odi bisogna inserire il generale Haftar, che sta a Tobruk ed è nemico del governo Onu di Tunisi perché vuole fare il ministro della Difesa, cioè guidare la guerra, e invece le tribù che hanno espresso il governo Onu di Tunisi gli sono nemiche. Ha già fatto saltare una volta l’intesa, e potrebbe manovrare per farla saltare un’altra volta. È certo che Haftar è appoggiato dal Cairo, non è sicuro se abbia dietro o no anche gli Stati Uniti, come pareva all’inizio (Haftar è stato molto tempo in America).  

Per andare a far la guerra in Libia, e sia pure con intenti difensivi o paradifensivi, ci vorrà però un sì del parlamento. Ha Renzi la maggioranza sufficiente per ottenere il via libera dalle camere?
Il Parlamento, poche settimane fa, ha approvato una norma che esenta il governo dal chiedere un’autorizzazione alle camere. Basterà un’informativa alle commissioni Esteri e Difesa. Gli americani, che per le questioni libiche si fidano totalmente di noi, ci hanno però fatto presente che il tempo stringe e l’Isis avanza. Le nostre lungaggini parlamentari, sempre deleterie, in questo caso sono sconsigliabilissime. I servizi mostrano che mentre le forze sul terreno in Siria e in Iraq si sono ridotte a 20-25 mila uomini (erano, ancora l’anno scorso, forse addirittura centomila), i miliziani in Libia sono aumentati. L’Isis, che in Libia non ha la forza per commerciare il petrolio, ha adottato la tattica di distruggere gli impianti, in modo da togliere una fonte di reddito ai suoi nemici. La Libia, dove l’Eni ha una posizione dominante (estrae un quinto di tutto il petrolio), era capace, ai tempi d’oro, di produrre un milione e mezzo di barili al giorno. Oggi stanno a 400 mila barili. I punti sensibili da sorvegliare e proteggere sono più o meno duecento. Un lavoro che, quando sarà il momento, toccherà a noi.