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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

«Comunque vada sarà una rivoluzione». Le elezioni americane viste da Michael Walzer

«Sarà Hillary contro Rubio. Però non si fidi troppo della mia previsione, perché io non ci prendo quasi mai». Nel suo appartamento al Vermeer, il grande (e trendy) palazzo sulla Settima Avenue dove finiscono le gallerie d’arte di Chelsea e inizia il West Village, Michael Walzer abbozza un sorriso. Il professore “emeritus” di Princeton, filosofo, teorico della politica, polemista, autore di una trentina di libri, di centinaia di saggi, co-direttore di “Dissent” (quadrimestrale della sinistra culturale e politica americana, fondato nei primi anni Cinquanta da un gruppo di intellettuali ebrei newyorchesi) dapprima si schermisce («sulle elezioni non ho molte cose da dire»). Poi, nel giro di pochi, minuti diventa un fiume in piena. Il suo ultimo libro – “The Paradox of Liberation” («no, in Italia non è stato pubblicato, peccato») parla delle «rivoluzioni secolari e le controrivoluzioni religiose» in tre Paesi (India, Israele e Algeria), da tempo critica Obama («sulla Siria ha sbagliato quasi tutto») e oggi accomuna l’attuale presidente a Bill Clinton («due democratici sulla difensiva»).
«Io advisor per la politica estera di Sanders? Chiariamo subito questa cosa. È vero che lui ha messo il mio nome in un piccolo elenco, lo ha detto pubblicamente. Solo che io con lui ho parlato solo una volta, al telefono e non più di venti minuti. Era due anni fa, non era ancora candidato, era un senatore che all’improvviso si è fatto vivo per chiedermi che ne pensassi della Siria». Allarga le braccia, si guarda intorno, «è una cosa piuttosto preoccupante no?». Per una piccola bugia? «No, semplicemente perché non ha alcuna idea di politica estera. Uno che corre per diventare presidente della potenza egemonica sulla scena mondiale deve avere un team molto serio di consiglieri, lui non lo ha. Se venisse eletto, il primo giorno dovrebbe affrontare il Pentagono, la Cia, non saprebbe da dove iniziare. Per me è un segnale molto preciso: Bernie Sanders è ben conscio che non diventerà presidente».
Non sarà un suo consigliere, è convinto che non vincerà mai, ma a Walzer – divenuto famoso e apprezzato (non solo a sinistra) già nel 1977 per il suo libro “Guerre giuste e ingiuste” – il candidato “socialista” piace davvero. «È sceso in campo per delle ottime ragioni politiche, per stimolare un revival della sinistra e ci sta riuscendo benissimo. In politica interna ha un programma stimolante, sono felice che sia in gara, sono felice che i ragazzi stiano rispondendo al suo appello con questo contagioso entusiasmo».
Sarà dunque Hillary la prescelta. Ma quella di novembre, «la sfida finale, l’unica che conta», sarà una «battaglia, durissima, brutale, crudele». A pochi giorni dal Super Tuesday del primo marzo (il 3 dello stesso mese Walzer compie 81 anni) – quando andranno alle urne una dozzina di Stati – il professore-filosofo snocciola le sue previsioni e mette in guardia il partito democratico. «Hillary andrà decisamente bene, ma la cosa che mi preoccupa di più è l’affluenza. In queste primarie stiamo vedendo crescere quella repubblicana e diminuire quella democratica, l’eccitazione è quasi tutta da una parte e questo non è un bel segnale. I democratici hanno un reale problema e Sanders, una volta sconfitto, deve continuare a fare la sua parte».
In un’America che sta cambiando e «che non è affatto chiaro che direzione prenderà» qualcuno deve «spiegare ai giovani, a quelli che pensano che il sistema non funziona e tanto vale non andare a votare che farebbero un grave errore». Per Walzer solo Sanders può convincerli: «Deve essere il primo a dare l’esempio, appoggiare Hillary e appoggiare ogni singolo deputato o senatore democratico con la stessa energia che sta mettendo in questi giorni. Capisco non sia semplice, ha 74 anni e sta girando in lungo e in largo gli States come un folle, ma spero che lo faccia».
Per spiegare il successo del “socialista” Sanders («da quanto tempo non c’era un candidato così? dobbiamo risalire agli anni Trenta») per Walzer occorre capire fino in fondo cosa è successo negli ultimi otto anni. «La recessione del 2008 è stata drammatica, ad oggi non c’è ancora stata, se non in modo molto parziale, una vera ripresa. Per la “working America”, per una classe media sempre più povera, ci sono poche speranze in una nuova era di prosperità. Ci sono decine di milioni di persone che si sentono vulnerabili, che sono arrabbiate, che sono disponibili per una politica differente. Sono tanti quelli pronti a seguire slogan populisti, lo vediamo con il successo che ha Trump, sono molti quelli pronti per le idee e i programmi di un socialista democratico. Seguo con attenzione, e mi ha colpito molto una cosa. È pieno di gente che a precisa domanda risponde: sono indeciso tra Trump e Sanders. Questo è il segnale del discontento, della rabbia, della frustrazione, di un feeling – ma sarebbe meglio chiamarla alienazione – nei confronti dell’attuale sistema politico. Tutto questo potrebbe diventare molto pericoloso nelle mani di un Trump, potrebbe invece essere fruttuoso se incanalato in una politica come quella auspicata da Sanders».
Due forme di populismo diverse, spiega con calma il professore. «Sanders sta in qualche modo educando gli elettori, parla di un modo diverso di organizzare l’economia, di priorità diverse da quelle vigenti. Non è un radical, non è ideologico, non parla di nazionalizzare l’industria. Socialdemocratico sì, ma nel senso migliore del termine. Trump invece non sta educando nessuno, urla e fa aumentare la rabbia di chi lo segue e questa a mio avviso è una strada pericolosa. Se riesco ad immaginare il candidato-miliardario alla Casa Bianca? Ci riesco molto bene, ma sono convinto che alla fine il partito repubblicano sceglierà Marco Rubio».
Rubio, senatore della Florida, cubano-americano, un “moderato” per recuperare voti in uscita dal Gop e gli indipendenti. «Lo stanno facendo passare per un moderato, ma non è moderato affatto! Rubio è un uomo della destra estrema, piace ai Tea Party, è l’espressione di quello che è oggi il partito repubblicano. Solo che non è un pazzo, non è un populista». Trump è pazzo? «Così viene raccontato e in qualche modo anche percepito. Ma è un modo sbagliato di liquidarlo e adesso se ne stanno accorgendo un po’ tutti».
Questa annata elettorale è foriera di cambiamenti, ma la forma di anti-politica che si è sviluppata negli Stati Uniti è diversa da quella che vediamo in Italia e in Europa. «Non credo di saperne abbastanza di quanto accade da voi, so che in Italia e Francia ci sono sempre stati partiti o movimenti di destra estrema, neofascisti, vedo che in Ungheria e Polonia partiti di quel genere sono arrivati al potere. La prima differenza è che noi non abbiamo partiti simili. Abbiamo un Donald Trump che arriva dal nulla, senza alcuna attività politica alle spalle, un demagogo estraneo ai partiti tradizionali e istituzionali. A me una presidenza Trump farebbe paura, ma devo dire onestamente che alla fine potrebbe essere molto meno brutta di quello che uno si immagina. Perché è un populista sincero e può veramente schierarsi dalla parte della povera gente in un modo che nessun candidato repubblicano farebbe mai. Potrebbe varare un “welfare repubblicano”, arrivo a dire che potrebbe essere una sorta di Chávez ancora più che una Marine Le Pen».
Così a destra, ma nella sinistra – quella cui Walzer «sente di appartenere» nonostante i molti dissensi manifestati nella sua lunga carriera – cosa sta cambiando? È possibile un nuovo New Deal? «Dipenderà molto dal “potere” che avranno queste nuove generazioni che oggi seguono Sanders. Occupy Wall Street non ha avuto alcun seguito, è un movimento che è durato un paio di mesi, avevano un’ideologia che rifiutava qualsiasi tipo di organizzazione, un’ideologia perdente, che in poche settimane ha bruciato un grande entusiasmo. Non so se oggi a sinistra ci sono le capacità per creare nuove forme di lotta e di istituzioni, come furono a suo tempo quelle per i diritti civili o anche gli Sds (Students for a Democratic Society), il movimento studentesco degli anni Sessanta che almeno è durato dieci anni. Lo spero ma non sono particolarmente ottimista. Vedo che nei sindacati c’è chi pensa che le cose si stiano muovendo e le Union – soprattutto quelle della nuova industria, della sanità e dell’istruzione – potrebbero avere un nuovo, importante, ruolo. Ma al momento c’è solo Sanders che è un “one-man-show”, gli altri dove sono? Se penso a lui mi dico, un “socialista ebreo di Brooklyn” non potrà mai andare alla Casa Bianca. Ma i ragazzi che lo appoggiano non hanno idea di come sia fatto un “ebreo socialista di Brooklyn”. Per loro è solo Bernie, lo zio Bernie».
Il professor Walzer continua a parlare, dice che «è tempo di pensare di nuovo alla “classe”, non quella classica marxista», qualcosa di diverso che metta insieme le vittorie “incomplete” («quelle dei movimenti delle donne, dei neri, dei gay») con la crescente “disuguaglianza economica” di oggi. «Dobbiamo trovare la strada per una politica più generale, non penso alla vecchia working class che non esiste più, ma a quegli americani che oggi si sentono spiazzati, vulnerabili. Con un primo imperativo: fermare la tendenza alla disuguaglianza».