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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Pomigliano, nella fabbrica modello (giapponese) della Fiat

È stata la cavia della rivoluzione firmata Sergio Marchionne. Lo stabilimento dove l’amministratore delegato della Fiat ha forzato la mano, riuscendo nel compito paradossale di scontentare sia la Fiom sia la Confindustria. Pomigliano d’Arco, paesone dell’hinterland napoletano, per anni ha rappresentato il simbolo dell’inefficienza industriale del Sud. Un mega stabilimento costruito dallo Stato italiano, poi passato sotto il controllo del gruppo torinese, per decenni insignito di parecchi record negativi tra le fabbriche italiane: assenteismo, produttività, numero d’invalidi. Oggi è tutto il contrario. Vista da fuori, dal groviglio di svincoli che portano alla zona industriale della cittadina campana, l’impressione non è certo quella della fabbrica modello. I bordi della strada sono disseminati di rifiuti. Un’intera ala è vuota. Eppure, a sentire gli operai, anche quelli iscritti alla Fiom, non c’è dubbio che le cose oggi vadano molto meglio che in passato. «Non è tutto bello ed armonioso come raccontano gli altri sindacati, solo la metà dei dipendenti lavora a pieno regime e alcuni diritti sono stati proprio calpestati, ma è innegabile che gli investimenti fatti dalla Fiat abbiano portato molta più efficienza», dice Francesco Percuoco, responsabile locale del sindacato guidato da Maurizio Landini, l’unico che non ha firmato il contratto voluto da Marchionne.
La svolta, a Pomigliano, è avvenuta nel 2010. «Arrivavamo da tre anni di cassa integrazione per tutti, si lavorava due-tre giorni al mese, il che vuol dire che lo stipendio si aggirava sui 700 euro. E il rischio era che lo stabilimento chiudesse», ricorda Giuseppe D’Alterio, cinquantenne addetto alla manutenzione. A quel punto Marchionne cala l’asso. Propone un nuovo contratto di lavoro per i metalmeccanici, che, rispetto a quello concordato tra Confindustria e sindacati, impone parecchie novità. Fra queste, le pause ridotte da 40 a 30 minuti, lo spostamento della mensa a fine turno e, soprattutto, aumenti salariali non più automatici, cioè legati all’inflazione, ma vincolati all’efficienza della fabbrica. Come dire: i soldi li prendete se li meritate. La Fiom si oppone, gli altri sindacati accettano. La proposta viene votata dai lavoratori e passa, con il 63 per cento dei sì. In cambio il manager italo-canadese investe 800 milioni di euro nella fabbrica e riporta qui, dalla Polonia, la produzione della Panda.
IL DIRETTORE? È IL POLACCO THOMAS GEBKA
A quasi sei anni di distanza da quel referendum, la ricetta di Marchionne è stata applicata a tutti gli stabilimenti italiani della Fiat-Chrysler. E Pomigliano ha raggiunto un nuovo record, questa volta positivo. A dirlo è stata la stessa multinazionale, secondo cui nel 2015 la fabbrica napoletana è stata la più efficiente d’Italia. Un primato che per i dipendenti significa soprattutto una cosa: incassare, a fine febbraio, un ricco bonus. Gli addetti di quinto livello si metteranno in tasca un premio lordo di 1.476 euro, che sale a 1.584 per quelli di terzo e quarto livello e a 1.944 per quelli di primo e secondo. In un Comune di circa 40 mila abitanti, dove un appartamento in centro si può affittare per 300 euro al mese, sono soldi che possono fare la differenza sul bilancio familiare. E pensare che fino a qualche anno fa lo stabilimento “Giambattista Vico” – intitolato alla memoria del filosofo napoletano famoso per la critica alla teoria della conoscenza di Cartesio – veniva descritto come una delle vergogne d’Italia. Aperto dallo Stato nel 1968, nel pieno delle contestazioni operaie, arrivò sotto il controllo pubblico a contare oltre 17 mila dipendenti, per una produzione di 300 auto al giorno. Oggi i lavoratori assunti sono 4.800 e le auto sfornate nell’ultimo mese hanno raggiunto le 800 al giorno: quasi il triplo. Crescenzo Auriemma, per 37 anni operaio Fiat, oggi segretario regionale della Uilm, stenta a nascondere il sorriso quando gli si chiede di raccontare le stranezze del tempo: «Ai tempi in cui si chiamava ancora Alfasud», dice, «qui c’era un po’ di tutto: chi giocava a calcio, chi a carte, chi coltivava l’orto, chi vendeva vestiti e chi sigarette di contrabbando». Pomigliano era famosa in tutta Italia per le sue stranezze. Il record nazionale di invalidi. I doppi lavori. I furti. L’assenteismo, che arrivava a superare il 20 per cento in coincidenza con alcuni eventi particolari. Come le partite del Napoli. I venerdì. Le elezioni, preziosa occasione per quei dipendenti che, facendo i rappresentanti di lista per conto di qualche partito, potevano essere pagati per tre giorni dall’azienda senza presentarsi al lavoro.
Acqua passata, assicura la Fiat, secondo cui l’assenteismo per malattia è arrivato l’anno scorso all’1,7 per cento, e gli esodi di massa in coincidenza con le elezioni e le partite di Gonzalo Higuaín e compagni si sono addirittura azzerati. Com’è stato possibile? Con alcune clausole inserite nel nuovo contratto. In casi ripetuti di assenze sospette, ad esempio, è previsto che si riunisca una commissione, formata da dirigenti aziendali e sindacalisti, che può arrivare a decurtare la paga del lavoratore in questione. Se invece durante le elezioni l’assenteismo supera il 20 per cento (prima del 2010 si arrivava anche al 40-50 per cento) la commissione può decidere di recuperare i giorni di lavoro persi chiamando gli operai al lavoro il sabato, non pagati. «Queste clausole non sono mai state usate finora, ma sono servite come deterrente», spiega Ferdinando Giustino, operaio del montaggio e delegato sindacale (Uilm) più votato a Pomigliano. «La paura di vedersi tagliare la paga non basta a spiegare il cambiamento», tiene a sottolineare Alfonso Laiena, team leader al montaggio, iscritto al sindacato più aziendalista, la Fismic. Secondo lui «è stato determinante lo spirito di squadra che si è creato». Molti operai ricordano ancora le iniziative di Sebastiano Garofalo, inviato qui dalla Fiat a cavallo del referendum per iniziare la rivoluzione. Il manager siciliano radunava gli operai davanti all’ala dello stabilimento oggi vuota e proiettava su un maxi-schermo lo spezzone del film “Ogni maledetta domenica”, quello in cui Al Pacino, nei panni dell’allenatore di una squadra di football in crisi di risultati, alla viglia di un match fondamentale per la stagione spiega ai suoi giocatori: «O noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente».
Lo spirito di squadra evocato al cinema dal coach degli Sharks si è tradotto a Pomigliano in alcuni dettagli. La tuta bianca, diventato l’abito di tutti, persino dell’attuale direttore dello stabilimento, il polacco Thomas Gebka. La mensa, dove oggi operai e dirigenti mangiano fianco a fianco mentre prima c’erano refettori separati. E quello che tutti chiamano “l’acquario": l’ufficio dei capi, con le pareti in vetro, piazzato in mezzo all’officina, tra le linee dove si assembla la Panda. Il premio da record, però, non è legato a questi aspetti. Dipende in buona parte dal World Class Manufacturing. È il sistema di organizzazione del lavoro firmato dal professore giapponese Hajime Yamashina, il metodo Toyota declinato sulle esigenze del cliente, in questo caso Marchionne, che ha portato il guru nipponico a Pomigliano quasi dieci anni fa per rimettere in sesto lo stabilimento. L’esperimento ha funzionato. Grazie al punteggio raggiunto nel Wcm, il più alto tra gli stabilimenti Fiat in Italia, a fine mese qui intascheranno il superbonus. Il sistema punta a far progredire costantemente il processo produttivo eliminando gli sprechi, riducendo l’inquinamento e migliorando le condizioni di lavoro delle persone. «Nella pratica», riassume Francesco Ritella, 32 anni, team leader al montaggio, «prima si risolvevano i problemi di volta in volta, adesso si va alla radice cercando di metterci una toppa una volta per tutte, e ogni lavoratore è coinvolto in questo processo, con la possibilità, se la sua proposta si rivela utile, di ottenere piccoli regali come uno zaino, una felpa o una smart box per un weekend di vacanza».
LA FIOM: DISCRIMINATI I NOSTRI ISCRITTI
Non tutti sono entusiasti della rivoluzione. Nel centro di Pomigliano, in una palazzina affacciata su un cortile del centro storico, un gruppo di delegati della Fiom sta mettendo a punto il prossimo volantino da distribuire agli operai. S’intitola “Al peggio non c’è mai fine”. Descrive un fatto: mentre circa 3.000 dipendenti sono occupati a tempo pieno, con tanto di straordinari al sabato, 1.800 sono in solidarietà. Nello Niglio, di Ercolano, in fabbrica dall’89, dice ad esempio di lavorare cinque giorni al mese: «Il risultato», si sfoga, «è che oltre ad avere un paga ridotta io non prenderò nemmeno il bonus per intero, visto che nel 2015 sono stato impiegato meno della metà dei giorni di lavoro annuale». Secondo la Fiom, questo è il frutto di una precisa strategia pensata dall’azienda. In sostanza, la società ha creato tre gruppi di lavoratori, ognuno dei quali segue fasi diverse della produzione. «Il risultato è che chi sta nel Gruppo A lavora sempre, mentre chi fa parte del B e del C è in solidarietà. E a perderci sono stati soprattutto i nostri iscritti, quasi tutti relegati negli ultimi due gruppi», sostiene Percuoco, segretario della Fiom di Napoli, la cui proposta è di lavorare meno ma tutti, portando la durata dei turni a cinque ore e mezza così da dare piena occupazione. In fabbrica, da quando ha detto no al referendum, il sindacato guidato da Landini ha perso molti iscritti. Cinque anni fa era la prima sigla, con 600 tessere, oggi sono solo 170.
Don Peppino Gambardella è rimasto uno dei pochi personaggi pubblici della zona a sostenerli ufficialmente, tanto da aver creato insieme alla Fiom e a Libera un’associazione “per il disagio operaio”. Seduto nella sacrestia della chiesa di San Felice, il parroco della cittadina spiega la sua tesi: «Perché fare gli straordinari quando ci sono quasi duemila persone in solidarietà? Quella della Fiat è una visione che divide, contrappone, non è un atteggiamento solidale». Si attraversa la strada, duecento metri più in là, ed ecco il remake di Peppone e Don Camillo in versione campana. Lello Russo, sindaco socialista di Pomigliano già nel 1980, oggi a capo di una coalizione di centrodestra, s’infervora a sentir parlare del prete: «Iniziamo a ricordare che se al referendum del 2010 avesse vinto la Fiom, oggi la fabbrica non ci sarebbe più. E poi la proposta di lavorare meno ma tutti non viene accettata dall’azienda perché la rotazione diminuisce la produttività, è un fatto noto. Dobbiamo essere realisti e fare i conti con le leggi del mercato, altrimenti la Fiat se ne va. Anche io spero che si raggiunga piena occupazione ma l’unica strada possibile è l’arrivo di un secondo modello oltre la Panda». Questo, in fondo, lo sperano un po’ tutti in città, pure l’alleanza Fiom-Chiesa. Nei mesi scorsi alcuni esperti avevano ipotizzato l’arrivo di due modelli Alfa. Succederà? A questa domanda la Fiat non risponde. Il gruppo, alle prese con lo spauracchio di una nuova recessione mondiale, per ora si limita a dire di voler iniziare a metà marzo la produzione della Giulia a Cassino, nel frusinate. Su Pomigliano, bocche cucite. Il motivo, viene da credere, è non doversi rimangiare la parola, come già avvenuto con il piano Fabbrica Italia, che prevedeva di produrre nel sito campano fino a 270 mila Panda l’anno, mentre l’anno scorso il pallottoliere si è fermato a 178 mila. Molto dipenderà dall’andamento del mercato. Intanto chi benedice la svolta di Marchionne pensa già al prossimo obiettivo. Si chiama World Class: è il gradino più alto del podio disegnato dal professor Yamashina. Per Biagio Trapani, delegato della Fim, «manca poco per raggiungerlo: dobbiamo migliorare ancora un po’ le postazioni di lavoro, diminuire ulteriormente gli sprechi e velocizzare gli spostamenti di materiale da un reparto all’altro». Poi, lui e i colleghi potranno fregiarsi della cintura nera di efficienza. E intascarsi un premio ancora più ricco: altri mille euro di bonus. Sperando che intanto arrivi il lavoro per tutti.