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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Il crollo delle borse cinesi

Capitombolo della borsa di Shanghai. Ieri, alla vigilia del G20 che vede i cinesi nella veste di padroni di casa, la principale piazza finanziaria della Repubblica popolare ha chiuso in calo del 6,4% a 2.741,25 punti. Ancora peggio ha fatto l’altro listino continentale. L’indice Composite di Shenzhen ha infatti chiuso con un rosso del 7,3%, mentre il ChiNext, equivalente al Nasdaq statunitense, ha perso il 7,6%.
Apparentemente, l’avvicendamento alla guida della China Security Regulatory Commission, ossia della Consob cinese, non è servito ad arginare la volatilità. Da quando all’inizio della settimana Liu Shiyu, ex presidente della Agricultural Bank of China, ha preso il posto di Xiao Gang come numero uno dell’autorità di vigilanza i listini hanno alternato sedute positive e negative, fino al crollo di ieri. Gli analisti di Mps  Capital Services puntualizzano che «in questo modo l’indice si è messo in pari con i livelli di partenza dopo la settimana del Capodanno lunare (dall’8 al 12 febbraio)», sedute durante le quali le quotazioni dei mercati emergenti avevano messo a segno un calo del 4% circa». Ma le ragioni del tracollo, scrive il South China Morning Post, sono imputabili alle indiscrezioni sull’ipotesi che i titoli quotati al National Equities Exchange and Quotations, il mercato over the counter cinese, possano essere quotati sulle piazze di Shanghai e di Shenzhen.
L’alta volatilità potrebbe essere però destinata a protrarsi, si legge in un analisi di Euler Hermes, sulle prospettive dell’anno della Scimmia appena iniziato.
Per gli analisti della società di assicurazione crediti del gruppo Allianz, la limitata correlazione tra mercati azionari ed economia reale è una buona notizia. Le borse cinesi scontano comunque difficoltà nel comunicare le decisioni di politica economica, in particolare in merito ai cambi, e l’andamento a rilento dell’economia. I dati sul quarto trimestre 2015 evidenziano un’ulteriore frenata, spiegano gli economisti Mahamoud Islam e Ludovic Subran. Da una parte rallenta la crescita dei servizi, sebbene all’8,2%, dall’altra la produzione industriale ha fatto segnare una lieve accelerata da +5,8 a +6,1%. Nell’osservare la situazione economica del Dragone, gli analisti di Euler Hermes prevedono inoltre un aumento delle insolvenze nel 2016 pari al 20% (in leggera frenata rispetto al 25% dello scorso anno). Saliranno invece da 81 a 84 i giorni medi di incasso, Quello in atto è tuttavia un «riequilibrio squilibrato». I mercati resteranno pertanto volatili finché le politiche di sostegno e i consumi dei privati non porteranno la crescita a un ritmo sostenibile. Uno dei nodi centrali ai fini del ripristino della stabilità sarà la comunicazione. Ancora di recente le carenze in questo campo si sono viste con il tentativo, (accantonato dopo i primi fallimenti) di utilizzare un meccanismo di sospensione automatica delle contrattazioni e con la scelta di imporre ai grandi azionisti limiti alla vendite, che alla fine si sono rivelati controproducenti e in contrasto con altri obiettivi di integrazione dei mercati che i regolatori e il governo si sono posti. Nel breve termine Pechino potrebbe comunque optare, per citare l’ormai celebre frase di Mario Draghi, per una sorta di «whatever it takes» in salsa cinese. Sul piano fiscale potrebbe optare nel 2016 per un deficit più ampio, fino al 3,5% del pil, secondo le stime della società tedesca. Un’opinione condivisa anche da Joep Huntjens di NN Investment Partners «Ci aspettiamo ulteriori stimoli. I leader cinesi hanno fatto intendere che amplieranno il deficit pubblico e sosterranno il mercato immobiliare», spiega «Siamo comunque ancora preoccupati per il livello generale del debito, proprio perché ne aumenterà il volume. I rischi sono ancora limitati, ma ci potrebbero essere problemi sul lungo periodo.» Dal punto di vista della politica monetaria, Euler Hermes prevede invece un taglio dei tassi di 50 punti base e una nuova riduzione della riserva obbligatoria per le banche di 100 punti base. Lo yuan a sua volta si dovrebbe attestare attorno a 6,8 sul dollaro. Una svalutazione che «se comunicata in modo efficace», non dovrebbe avere ripercussioni negative sull’andamento dei listini. «La direzione dello yuan dovrebbe essere quest’anno più prevedibile» aggiunge Huntjens, «È probabile un ulteriore deprezzamento sul dollaro. Ma la Cina non dovrebbe imbarcarsi in una guerra valutaria per stimolare l’export, anche perché non sarebbe compatibile con la trasformazione del modello economico verso una crescita basata sui consumi e i servizi».