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 2016  febbraio 26 Venerdì calendario

Due anni di Renzi

Due anni di governo Renzi sono passati in un lampo. Sembra ieri che il premier fiorentino, appena insediato a palazzo Chigi, prometteva di cambiare il paese in cinque mosse (una al mese da marzo a luglio, massimo agosto o settembre). Scontate le esagerazioni, sgombrato il campo dagli entusiasmi iniziali, magari non si può dire che in questi ventiquattro mesi Renzi e i suoi maremmani non abbiano combinato niente (anche se vien voglia di dirlo, e non perché sia del tutto vero ma perché è abbastanza vero, e anche un po’ per spirito polemico).
C’è stato il jobs act, per esempio, che in futuro forse cambierà davvero il mercato del lavoro, anche se al momento non sembra. C’è stata la rissa col sindacato, lo scontro con la burocrazia e quello con la magistratura, battaglie importanti, dalle quali l’esecutivo non è uscito per adesso vittorioso, ma dalle quali dovrà ripartire, alla prima occasione, una «stagione di rinnovamento», come si dice nel gergo degli opinionisti.
Anche la battaglia sulle unioni civili, comunque vada a finire, è stata ed è importante, per quante siano state le concessioni al Nuovo Centrodestra e ai suoi leader, altrettanti paladinissimi della Famiglia tradizionale. Ma soprattutto c’è stata la definitiva rottamazione della sinistra vecchia e inutile, che ha occupato il centro della scena nazionale per quasi settant’anni impedendo con ogni mezzo, in particolare ricorrendo al gioco delle tre carte, la modernizzazione del paese. Non si può negare, insomma, che l’esecutivo Renzi sia stato più produttivo e più ricco di novità dei governi sia berlusconiani sia anti che lo hanno preceduto negli ultimi vent’anni, da Tangentopoli in avanti.
Ma come ogni governo demagogico della seconda repubblica, e lo sono stati tutti, quelli di destra come quelli di sinistra oppure «tecnici», anche questo primo governo della terza repubblica ha gettato la spugna di fronte al problema dei problemi, che rimane il debito pubblico (con quel che segue: la spending review, cioè il contenimento, meglio se drastico, della spesa). Per quanto a suo modo sacrosanta, anche la crociata contro l’Europa micragnosa e cruccocentrica ha tutta l’aria del solito arrembaggio contro i nemici del Paese di Cuccagna da parte del partito della spesa pubblica. Ed è proprio così che lo intende, magari ingannandosi, l’opinione pubblica meno boccalona, alla quale è impossibile credere che Renzi, quando chiede all’Europa meno severità e maglie più larghe, abbia esclusivamente a cuore (come lui non si stanca di ripetere) il destino dell’Unione, minacciato da vincoli di spesa troppo stretti, e non quello della sua maggioranza, eternamente sotto un bando.
Renzi, che guarda con sospetto i sondaggi elettorali, ha il problema di riguadagnare la popolarità in buona parte perduta, ed è noto che il politico italiano conosce un solo modo per rendersi simpatico agli elettori immusoniti: 1) spendere senza controlli e 2) dare la colpa dei loro guai e della loro miseria a qualche bersaglio facile, per esempio all’Europa che «ci tiene a pane e acqua».Dopo due anni di governo, Renzi e i suoi ministri sono ancora ben lontani dall’aver raggiunto uno qualsiasi degl’«importanti obiettivi» dichiarati: il senato è ancora lì e (mutatis mutandis) ci resterà, le province rientrate dalla finestra non sono mai nemmeno uscite dalla porta, l’occupazione è quella che è, i dati economici quelli che sono. Hanno raggiunto, in compenso, qualche obiettivo minore. Poteva, d’accordo, andarci meglio. Ma poteva anche andarci peggio: restare in balia delle banche centrali, come sotto Mario Monti, oppure in balia del partito caimano, o della Ditta.